Marco Granelli compie sei mesi alla guida di Confartigianato. Arriva con l’inizio della campagna vaccinale, con la nomina di Mario Draghi a Palazzo Chigi e l’arrivo dei soldi del Recovery. Ma non va tutto bene, ci dice.
«Vengo da una storia associativa lunga, dal 1989. Sono partito dalle costruzioni, mi sono occupato della mia regione, l’Emilia-Romagna e da poco sono alla guida di Confartigianato nazionale. Il mio intento è portare una collegialità, una condivisione nelle scelte che è più che mai un’arma vincente per dare un sostegno vero per le imprese così colpite dalla crisi. Tutti devono essere valorizzati e felici di dare il loro contributo».

Arrivano i soldi del recovery, c’è una svolta anche per le Pmi.
C’è ottimismo e fiducia, abbiamo dimostrato in questo periodo emergenziale, che speriamo non torni più, di poter essere forti se siamo uniti. La politica aveva tentato di disintermediare questo ruolo negli anni passati. Abbiamo invece dato un supporto non solo in termini di “difesa sindacale” ma di informazione e servizio. Il 75% delle aziende fino a 50 dipendenti in Italia sono ancora aziende familiari. Le difficoltà dell’impresa sono le difficoltà delle famiglie; anche da questo punto di vista abbiamo portato avanti una luce, da attori non solo economici ma sociali.

Qual è il suo messaggio alla politica?
Far capire quanto sia importante l’impresa familiare, l’impresa artigiana in Italia. Siamo capillari, coniughiamo sostenibilità e crescita, curiamo i piccoli e nel fare questo creiamo un contesto favorevole per i più grandi.

Cosa preoccupa di più gli artigiani e le pmi?
Abbiamo molta attenzione verso i temi caldi: se non c’è una riforma vera del fisco, una riforma complessiva della giustizia, una riforma della pubblica amministrazione vanifichiamo tutto. Arriveranno tanti soldi, ma se poi non ci sono riforme adeguate e politiche giuste, sono guai. Da Draghi e questo governo per ora vediamo attenzione. Speriamo di partecipare e dire sempre la nostra nella cabina di regia anche nello stato di avanzamento dei lavori, perché non sono importanti solo gli inizi ma gli aggiustamenti in corso d’opera.

E Draghi?
Una persona positiva, capace e autorevole. Colpisce tutti quelli che lo incontrano, me compreso. Vogliamo contribuire insieme al presidente Draghi a questo suo progetto di ricostruzione del Paese a misura di piccola-media impresa.

Anche con Giorgetti, ministro dello sviluppo economico?
Interlocuzione attenta, gli abbiamo scritto una lettera per esprimere la nostra preoccupazione sul rincaro delle materie prime. E sul superbonus del 110% dobbiamo riconoscere che dà opportunità di mettere in sicurezza il patrimonio immobiliare; glielo abbiamo ricordato. L’onerosità di certi prodotti comporta un aumento dei costi per l’esecuzione dei lavori, lo abbiamo trovato sensibile sul tema.

Vogliamo guardare al futuro? Confartigianato 2.0?
Il futuro è un po’ artigiano. Lo si vede dallo spot delle grandi aziende. I giovani hanno delle grandi opportunità per intraprendere in tante categorie dando spazio alle proprie passioni e alla propria creatività, anche inserendosi in nicchie di assoluto interesse per il mercato. Sono migliaia le startup che vediamo nascere nel nostro ambito.

Le imprese italiane agganciano il treno dell’internazionalizzazione?
Direi che dopo quest’ultimo anno le imprese hanno preso risolutamente questa strada. Nel 2020 abbiamo avuto 122.000 aziende italiane in più che hanno fatto ricorso al commercio elettronico, rispetto all’anno precedente. E sono 122.000 aziende italiane che accettano la sfida globale, che hanno il sito in inglese, che parlano con il mondo. Rimaniamo tra i più flessibili e tra i più curiosi, dunque pur nella mentalità da bravi solisti che noi abbiamo come artigiani, stiamo iniziando a capire che bisogna saper far parte di una grande orchestra.

Il modello è quello delle reti di impresa.
Da soli è tutto più oneroso, mettere insieme risorse aiuta tutti a porsi come attori forti.

La criticità della giungla normativa italiana. Si lavora meglio se ci sono meno leggi?
Ci devono essere norme scritte bene. Una nostra analisi dimostra che per fare l’asfaltatura di una strada occorrono sette mesi in più rispetto alla media dei paesi Ue. Dalla progettazione alla messa a bando noi ci perdiamo nella richiesta di autorizzazione alla Regione e alla Soprintendenza, per aspettare il parere dell’ente ambientale. E tra un parere e una delibera ci sono tempi morti inaccettabili. Noi italiani siamo i più veloci a costruire strade nel mondo, ma in casa nostra siamo incredibilmente frenati, bloccati. I cittadini vogliono velocità nel fare le cose.

Il Dl Semplificazione deve mettere mano al codice appalti?
Assolutamente. Se avremo tante risorse da usare, ma le regole vecchie, non andremo da nessuna parte.

Il tema della giustizia sovrintende un po’ tutti i problemi fin qui elencati.
La situazione in ambito di contenziosi civili è paludosa. Quando ci si trova a dirimere una causa che può insorgere in ambito lavorativo ha dei tempi biblici. Si vive con un’ansia e una precarietà che non fanno bene agli imprenditori. E questo scoraggia tutti gli investimenti, specialmente quelli che vengono dall’estero. I nostri progetti piacciono sulla carta, ma spaventano per il contesto. Molti abbandoni di investitori sono da imputarsi alla gestione della giustizia civile.

E c’è la paura della firma. Oggi a dare un appalto si rischia grosso, una svista su una firma diventa abuso d’ufficio, si aprono processi che durano anni, distruggono persone e bloccano il lavoro.
Una macchia da cancellare. La responsabilità personale dei sindaci non può riguardare tutto, specie nell’ambito pubblico si fa fatica ad avere le autorizzazioni. Le amministrazioni devono dare il via ad un iter leggero e diverso. Penso a una centrale di committenza che raccoglie i dati, controlla la spesa e raccoglie le competenze necessarie.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.