Esteri
Israele da sola sta battendo il terrorismo e vincendo la guerra: ma la comunità internazionale non lo accetta
L’Idf ha fatto fuori i vertici di Hamas, ha depotenziato Hezbollah e ha mandato all’aria il regime siriano. E questa sarebbe una sconfitta? Lo Stato ebraico viene isolato proprio perché sta vincendo la guerra

Si svolge su due fronti l’incolpazione di Israele. Uno è costituito da quelli, molto numerosi e poco disposti al confronto con la verità, secondo cui Israele starebbe commettendo un genocidio, con l’intento di sterminare un popolo intero bombardandolo indiscriminatamente senza sosta e riducendolo alla fame. È un fronte tifoso, meno ignorante che in malafede, presidiato con identici argomenti dai rigurgiti dei social e dal sussiego di certa stampa coi fiocchi.
L’altro fronte è costituito dai meno numerosi che – affettando equanimità e assenza di pregiudizio – addebitano a Israele una colpa diversa, e cioè la colpa di aver condotto una guerra, e di insistere a condurla, nella mancanza di qualsiasi obiettivo strategico e, comunque, con un bilancio sostanzialmente fallimentare. Il tutto, ovviamente, con il corollario accusatorio secondo cui il presunto fallimento israeliano sarebbe tanto più esecrabile perché si consuma, oscenamente, nel trionfo di stragi neppure giustificate dal raggiungimento di un qualsiasi risultato.
È un fronte, quest’altro, anche meno provvisto di argomenti solidi e anche più ostile alle evidenze di fatto. Che andrebbero messe in fila. Innanzitutto, in una situazione oggettivamente difficilissima sia a causa del potere ricattatorio di Hamas, sia a causa delle impervie condizioni del campo di battaglia, sia a causa dell’inevitabile pressione esercitata dalle famiglie coinvolte, Israele ha recuperato l’80% degli ostaggi. Il dato non allevia né la tragedia patita da quelli che sono rimasti molti mesi in prigionia, né quella di coloro che ancora vi stanno (per responsabilità di Hamas che non li libera, non certo per responsabilità di Israele che non è ancora riuscito a liberali). Tantomeno quel dato può far cantare vittoria, considerando gli ostaggi che sono stati uccisi perché giustiziati dai rapitori, come è certo in molti casi, o perché – in ipotesi – vittime in occasione di operazioni belliche: nei due casi, tuttavia, sempre per responsabilità di chi li ha rapiti. Ma il recupero di otto ostaggi su dieci, nella situazione data, è un fallimento solo per chi vuole vederlo.
Dall’inizio della guerra le formazioni terroristiche di Gaza sono state decapitate, con l’eliminazione dei capi assoluti e di una quantità di quadri. Sono stati eliminati – alla luce di stime non irragionevoli, e in ogni caso mai smentite con documentate emergenze contrarie – dai 18 ai 25mila miliziani. Il fatto che ne siano stati arruolati altrettanti prova l’interesse israeliano a continuare nella propria azione, non certo il carattere fallimentare delle operazioni da 19 mesi a questa parte. Ancora, il lancio di missili dalla Striscia è stato pressoché eliminato, con una flessione del numero dei lanci che supera il 95%.
Le capacità offensive del proxy iraniano in Libano, Hezbollah, sono state pesantemente compromesse, con la distruzione dei siti operativi e, anche lì, con la neutralizzazione dei vertici politico-militari dell’organizzazione. La disarticolazione della minaccia libanese ha mandato all’aria il regime siriano, il cui esercito sostanzialmente cessava di esistere mentre Israele prendeva il controllo del Monte Hermon. Il proxy yemenita ha subìto attacchi devastanti. L’Iran, con un’economia devastata, ha visto violati i propri cieli senza saper opporre qualsiasi difesa contro gli attacchi aerei israeliani che hanno colpito pesantemente installazioni militari e infrastrutture di sostegno.
È quel che si dice una situazione rose e fiori? No: ma è tutto tranne che il quadro di una sconfitta. L’accerchiamento poderoso cui Israele ha dovuto assistere nelle ultime settimane, con la comunità internazionale adunata a reclamare la cessazione delle iniziative belliche riprese con forza, non si spiega esaminando gli effetti dell’intervento militare sulla popolazione civile, che sono assai meno devastanti – pur restando ovviamente terribili – rispetto alle più risalenti fasi della guerra. Non si spiega nemmeno alla luce delle ragioni umanitarie connesse al blocco degli aiuti, visto che questa maestosa mobilitazione si registra proprio mentre gli aiuti (sia pur in modo non ben organizzato, e sia pur in misura discutibile) ricominciano a entrare nella Striscia.
Si spiega altrimenti, quell’accerchiamento. Si spiega perché è imminente, se non attuale, il rischio che Israele possa vincere la guerra scatenata da Hamas. Si spiega perché la cosiddetta comunità internazionale non ha digerito la decisione israeliana – e pertanto vi si oppone energicamente – di non permettere che il proprio vicino possa ulteriormente essere una minaccia. La comunità internazionale – questo è ovvio – non vuole necessariamente che lo Stato ebraico sia attaccato, ma pretende che Israele ne accetti il pericolo. Israele non lo accetta.
© Riproduzione riservata