15 km a piedi per un pacco e i posti di blocco dei terroristi
Fame o fedeltà, cibo a Gaza usato come arma di ricatto: mentre Hamas minaccia la popolazione, la comunità internazionale accusa Israele

Mentre la popolazione di Gaza sprofonda in una delle crisi umanitarie più gravi degli ultimi decenni, si fa sempre più chiaro chi abbia davvero interesse a mantenere questa emergenza in stato permanente. Hamas non solo continua a ostacolare sistematicamente ogni tentativo di distribuzione autonoma degli aiuti, ma impone alla popolazione palestinese una scelta crudele: la fame o la fedeltà. È il cibo l’arma più efficace nelle mani dell’organizzazione terroristica islamista. Un’arma usata per ricattare, controllare e punire, un metodo di gestire il potere “mafioso”.
Folle affamate e disperate
È di ieri l’inizio ufficiale della consegna di aiuti alimentari organizzata dagli Stati Uniti attraverso la Gaza Humanitarian Foundation (GHF), con il supporto di Israele. Nei nuovi punti di distribuzione aperti a Tal al-Sultan e nel corridoio di Morag, nell’area di Rafah, migliaia di civili si sono riversati per cercare di accedere a razioni di sopravvivenza. Le immagini circolate sui social media mostrano folle affamate e disperate che cercano di raggiungere i pacchi accatastati in un fortino sabbioso vicino al mare. Per contenere l’assalto e gestire la distribuzione degli aiuti, le guardie di sicurezza private ingaggiate dalla GHF – contractor della Safe Research Solutions – sono state costrette a sparare colpi di avvertimento in aria.
15 km a piedi per un pacco e i posti di blocco di Hamas
Dietro il caos, però, non c’è solo la disperazione. Ci sono ostacoli deliberatamente imposti. La stessa GHF ha spiegato che è proprio Hamas ad aver creato posti di blocco per impedire alla popolazione di raggiungere i centri di distribuzione. In media, per ottenere una scatola contenente tre pacchi di pasta, due chili di riso, un chilo di lenticchie rosse, scatolette di ceci e pomodori – razioni sufficienti per pochi giorni – occorrono 15 chilometri a piedi in un territorio dissestato e privo di mezzi. Tutto questo per sfuggire al controllo capillare dell’organizzazione che governa Gaza con il pugno di ferro.
La distribuzione ‘parallela’ dei terroristi
Il Ministero degli Interni di Hamas ha definito la GHF un’iniziativa destinata al fallimento, rilasciando un comunicato che invita la popolazione ad “agire responsabilmente”. E mentre attacca duramente il meccanismo indipendente sostenuto da Israele e Stati Uniti, avvia improvvisamente la distribuzione gratuita di cibo nella zona umanitaria di Al-Mawasi. Come mai? Da dove proviene quel cibo? Perché adesso sì, e prima no? La risposta è lampante: Hamas aveva le risorse, ma le ha tenute come strumento di potere. Ora le libera per non perdere il controllo e contrastare un’alternativa che sfugge alla sua egemonia.
Ancora più inquietante la minaccia diretta del braccio armato dell’organizzazione: “Chi prenderà cibo dalla GHF sarà accolto con cura”. È un avvertimento mafioso, un’intimidazione rivolta a civili affamati che cercano di sopravvivere. Non è un caso isolato. Già nei giorni scorsi a Nuseirat, nel cuore della Striscia, si è verificato uno scontro a fuoco tra miliziani di Hamas e cittadini palestinesi per l’accesso alla farina. Hamas non distribuisce, controlla. E quando perde il controllo, risponde con la violenza.
La realtà è che Hamas teme di perdere il suo monopolio sugli aiuti. Non è una guerra per la liberazione, ma una lotta per la supremazia interna. Per anni ha intercettato e condizionato i flussi di beni umanitari, trasformando l’assistenza in privilegio politico. La retorica sulla sovranità e sull’occupazione serve solo a mascherare la paura di perdere il potere su una popolazione che sopravvive vendendo sul mercato nero le razioni distribuite selettivamente.
Superare le narrazioni semplificate
La GHF ha distribuito finora 8mila pacchi – circa 462mila pasti – con il supporto di tre agenzie internazionali: la International Human Rights Commission, la Rahma e la Multifaith Alliance, queste ultime due americane. Sono le uniche ad aver accettato di collaborare, mentre le Nazioni Unite e molte Ong continuano a rifiutarsi, accusando Israele di distogliere l’attenzione dalla riapertura dei valichi. È una posizione ideologica miope: l’ostilità verso un attore politico, per quanto legittima, non dovrebbe mai giustificare l’abbandono dei civili. In parallelo, l’Italia ha inviato 15 camion di aiuti attraverso il programma “Food for Gaza”, distribuiti dal World Food Programme.
Il controllo degli aiuti avviene spesso attraverso intimidazioni, minacce e con la violenza diretta da parte di Hamas. Il monopolio sulle risorse umanitarie è esercitato non solo sul piano politico, ma anche con metodi repressivi, con conseguenze devastanti per una popolazione già stremata dalla guerra e dalla fame. Oggi più che mai, occorre superare le narrazioni semplificate: è tempo che la comunità internazionale e il dibattito pubblico superino la visione semplicistica secondo cui ogni forma di aiuto è automaticamente positiva e ogni critica a Israele necessariamente legittima. La questione è più complessa, e oggi è più evidente che il principale ostacolo alla sopravvivenza quotidiana dei palestinesi di Gaza è proprio Hamas.
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