Il Leitmotiv è sempre lo stesso: le misure sono necessarie perché gli italiani sono per natura indisciplinati, anarchici, furbetti. E il governo è costretto a imporre ordini e prescrizioni per disciplinare tutto, per limitare la furbizia.  Su questo atteggiamento paternalista, che inocula nel sentimento nazionale un senso di minorità (e colpa) dei cittadini, finendo per contagiare i cittadini stessi (molti dei quali si convincono che questa narrazione sia fondata) abbiamo già scritto altre volte. E poco importa se è proprio di ieri la notizia del fuggi-fuggi di cittadini inglesi da Londra per evitare le misure di lockdown imposte da Boris Johnson. Anche gli inglesi saranno diventati un po’ italiani?

I luoghi comuni, si sa, sono merce preziosa per il potere. Evitano di spiegare, godono di un consenso diffuso, scaricano dalla responsabilità.
E forse sarà anche vero che gli italiani hanno sviluppato una particolare capacità a destreggiarsi nelle giungla in cui, anche in tempi ordinari, sono costretti a vivere. Asfissiati da miriadi di regole, da burocrazie ottuse e talvolta sadiche, dalla convinzione, complice un’amministrazione spesso corrotta o semplicemente malata di onnipotenza, che le scorciatoie siano, a volte, l’unica strada per conseguire un risultato. Ottenere come favore quanto sarebbe un diritto. Ma il problema non è questo, il problema è sempre l’uso che, dei luoghi comuni, fa il potere per giustificare le proprie decisioni. E qui subentrano due considerazioni legate ai tempi che stiamo vivendo.

La prima. L’alibi dell’indisciplinatezza degli italiani sta diventando uno strumento di governo, senza che nessuno si sia preso la briga di dare il benché minimo straccio di prova che durante la pandemia i cittadini si siano comportati da irresponsabili. Prendiamo la seconda ondata. Ma chi è che ha dato il “tana libera tutti” alla fine della prima? Chi è che ha chiuso le discoteche il 16 agosto e non prima? Chi è che ha aspettato tutto settembre prima di accorgersi che bisognasse intervenire? Se si sceglie la via del paternalismo, non si può poi accusare i destinatari di essere irresponsabili. Troppo comodo. Tanto più che nessuno ha fornito il benché minimo dato dei tassi di violazione delle regole, peraltro a volte bizantine e incomprensibili (ricordate il concetto di “prossimità all’abitazione” o di “congiunti”?). Che percentuale di infrazioni sul totale degli accertamenti?  Anzi altri dati sono in senso opposto. La curva dei contagi della seconda ondata ha cominciato a rallentare assai prima che il governo prendesse le sue misure (in ritardo). Prova che gli italiani le avevano già anticipate. Disciplinatamente.

La seconda considerazione è ancora più drammatica. Tutti, più meno ormai, abbiamo interiorizzato la nuova regola che varrà per tutto il periodo natalizio: non si può circolare in più di due (infra-quattordicenni e persone non autosufficienti escluse) per recarsi nella stessa abitazione. Tradotto: in un’abitazione possono riunirsi solo coloro che ci vivono, insieme a non più due persone (e gli altri esentati) non conviventi. Non uno di più. Ora, non bisogna essere il più grande costituzionalista del secolo per capire che, attraverso questo escamotage, non si limita solo il diritto alla circolazione (art. 16 Cost.), ma anche la libertà di domicilio (art. 14 Cost.) e la libertà di riunirsi in un luogo privato con quante persone si voglia (art. 17 Cost.). Invece chi ha preso quei provvedimenti nega che sia così e si affretta a rassicurare che la polizia non entrerà nelle case. E ci mancherebbe. Ma il fatto che non si facciano ispezioni per accertare una violazione non significa che comunque quel comportamento non sia vietato.

Morale della favola. Gli italiani saranno furbi, avranno bisogno di essere educati a suon di limitazioni, ma hanno dei “maestri” ancora più furbi. Che non hanno il coraggio di ammettere la verità (“stiamo limitando, per la prima volta, anche la vostra libertà di domicilio e di riunione”) e preferiscono vendere una bugia (“è la solita limitazione della circolazione a cui siamo già abituati”). Una furbata per fuggire dalla responsabilità. Esattamente quello che imputano al popolo indisciplinato. Perché questo è un tema politico (e costituzionale) prima che di etica pubblica? Perché di furbizia in furbizia si erode la fiducia dei cittadini. E senza la fiducia, le istituzioni si delegittimano e i comportamenti diventano ancor più indisciplinati.  Il circolo vizioso della storia nazionale.

Perché sfiducia è sinonimo di diffidenza. E anche di sfida. “Prova a prendermi se ci riesci? Come fai a sapere se muovendoci a due a due ci incontreremo in quattro o in otto?” Una china pericolosa. Anche perché il controllo sarebbe impossibile. Non bisogna scomodare Manzoni o Beccaria per ricordare che la sola minaccia (e gravità) delle sanzioni non ne assicura l’osservanza se i fenomeni diventano di massa. Per questo è un peccato alimentare il luoghi comuni degli italiani irresponsabili e indisciplinati. Perché, tutto al contrario, è proprio sulla chiamata alla responsabilità che bisognerebbe puntare. L’unica che può assicurare gli obiettivi che queste regole astruse, goffamente, cercano di perseguire. Ma per far questo anche chi governa dovrebbe dimostrare questo senso di responsabilità, anzi questo coraggio della responsabilità, e non ricorrere a furbizie e sotterfugi per fronteggiare una situazione obiettivamente grave.  E che nessuno nega. Con buona pace delle accuse di “negazionismo” a chi manifesta un argomentato dissenso. Accuse che, come quella di disfattismo, sono un altro comodo luogo comune, un altro alibi, per legittimare il potere. Da sempre.