Oggi, forse, si capirà quali sono gli intendimenti del governo per mettere fine una volta per tutte al far west delle intercettazioni. Alle 15 in Senato è in programma il question time con l’intervento della ministra della Giustizia Marta Cartabia. Fra i temi all’ordine del giorno vi è quanto evidenziato da parte del Copasir nelle scorse settimane dopo aver letto la relazione della Sezione centrale per il controllo sui contratti secretati della Corte dei conti. Fra gli aspetti più controversi messi in luce dall’Autorità di controllo presieduta dal senatore Adolfo Urso (Fd’I) vi erano proprio le spese sostenute dalle Procure per le diverse attività di intercettazione. Spese che sfuggono a qualsiasi controllo preventivo di legittimità dei contratti.

Lo scorso anno, ad esempio, erano stati registrati alla Corte dei Conti solo quattro contratti di noleggio per sistemi di intercettazioni. E tutti relativi ad un’unica Procura sulle 140 presenti nel territorio nazionale. Una Procura, il nome è coperto dal segreto, per altro molto piccola e periferica. E questo pur a fronte della “ponderosa attività delle Procure” svolta mediante il ricorso alle intercettazioni. La ministra Cartabia era stata ascolta dal Copasir ed aveva illustrato le modifiche introdotte dalla Riforma Orlando della giustizia del 2017 con la previsione che le tariffe per i servizi erogati dai fornitori privati fossero determinate da decreti ministeriali. Con un decreto legislativo del 2018 le spese di intercettazione erano state inserite tra le spese di giustizia disciplinate dal testo unico del 2002. Le toghe si erano rivolte per dei chiarimenti interpretativi alla Corte di Cassazione che aveva stabilito che i costi per le intercettazioni rientrassero fra le spese di giustizia, non soggette dunque a controllo.

Questo significa che le attività di intercettazione sono affidate a un soggetto privato con un conferimento d’incarico da parte del pm nell’ambito di uno specifico procedimento e il relativo costo è considerato come una spesa di giustizia.
La ministra aveva evidenziato che tale impostazione aveva come conseguenza che il provvedimento di affidamento dell’incarico non dovesse più sottostare all’obbligo di controllo della Corte dei conti. Una impostazione, però, in contrasto con le norme europee una direttiva del 2011. La Commissione europea ha sul punto messo in mora l’Italia perché non ha ottemperato “agli obblighi basati sull’assimilazione dei contratti per le intercettazioni a transazioni commerciali”. E sempre la ministra non aveva escluso la richiesta di un’interpretazione ufficiale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, assicurando un’opera di monitoraggio e di interlocuzione con le Procure per giungere ad una armonizzazione delle tariffe.

Il tariffario proposto è da più parti considerato troppo rigido, ponendo problemi nei casi in cui fissa tariffe inferiori alla media. Le apparecchiature per le intercettazioni, e i vari software spia, vedasi il terribile trojan, sono di proprietà di aziende esterne alla pubblica amministrazione. Il business è facilmente immaginabile, considerato il numero esponenziale di intercettazioni telefoniche e ambientali che vengono annualmente effettuate in Italia. Si parla di centinaia di milioni di euro l’anno. Molte società con il fiuto per gli affari si sono letteralmente “tuffate” in questo settore. Anche perché gli affidamenti, come detto, avvengono tutti senza gara. Non esiste, per essere chiari, un’unica società che offre le apparecchiature all’Autorità giudiziaria. Ogni Procura è autonoma e paga a “piè di lista” le fattura del noleggio degli apparati.

Nessun bando nazionale, nessuna gara d’appalto, nessun limite di spesa. Ma solo l’affidamento diretto da parte della singola forza di polizia che “sceglie” l’azienda che dovrà fornirgli gli apparecchi per effettuare le intercettazioni. Le conseguenze di questa deregulation sono ben note. Senza andare molto lontano, è sufficiente ricordare cosa è accaduto con il Palamaragate dove i vertici della Rcs, la società milanese che fornì al Gico della guardia di finanza il trojan sono tutti indagati in frode in pubbliche forniture: secondo le accuse, avevano addirittura un server “parallelo” dove far transitare gli ascolti. Alla faccia della riservatezza.