Basta con i trojan “illegali”. Lo stop arriva dalla Procura di Milano tramite una circolare firmata ieri dal procuratore aggiunto Alessandra Dolci. La magistrata, numero uno della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo lombardo, ha voluto fissare dei “paletti” per le società che forniscono gli apparati per le intercettazioni in uso alle Forze di polizia. Lo scandalo emerso dalla gestione del trojan da parte della società milanese Rcs nelle indagini a carico dell’ex zar delle nomine Luca Palamara ha, dunque, lasciato il segno.

Con decorrenza immediata, le aziende che forniscono la strumentazione dovranno innanzitutto utilizzare captatori di “loro proprietà” e del quale “conoscano nel dettaglio il funzionamento”. Grazie al grillino Alfonso Bonafede, indimenticato ministro della Giustizia dei governi Conte uno e due, il trojan, il virus spia che trasforma il cellulare in un microfono, era stato esteso anche ai reati contro la pubblica amministrazione. Inizialmente previsto solo nelle indagini per mafia e terrorismo, la sua utilizzabilità anche nei procedimenti contro i “colletti bianchi” aveva prodotto un deficit nell’offerta. Le società che non lo avevano in listino hanno allora provveduto a noleggiarlo pur di non perdere le ricche commesse. Il business delle intercettazioni telefoniche in Italia, infatti, non conosce crisi essendo il Paese dove si fa maggior ricorso nel pianeta a questo strumento investigativo. Solo Rcs, tanto per fare un esempio, fattura 30 milioni di euro l’anno.

I noleggiatori sono nella maggior parte società israeliane e statunitensi, da sempre all’avanguardia in questo tipo di attività. Altro aspetto importante riguarda il fatto che queste conversazioni dovranno essere registrate soltanto su server presso la sala ascolto della Procura della Repubblica che le ha disposte. Anche in questo caso, per logiche aziendali, le società utilizzano server collocati diversamente. Nella migliore delle ipotesi, vedasi Rcs, il server era sempre in Italia ma non a Roma dove si effettuavano gli ascolti bensì a Napoli. Ma sono stati segnalati casi di server in Ucraina, Moldavia o ad Abu Dhabi. Il tema è dirimente per la successiva utilizzabilità delle conversazioni intercettate, come previsto espressamente dal codice di procedura penale. Sulla gestione delle informazioni, poi, i dati dovranno essere disponibili solo per le forze di polizia che stanno effettuando le intercettazioni. Difficile, se non impossibile, fare controlli, anche per assenza di accordi bilaterali, con server collocati in Stati come, appunto, l’Ucraina o la Moldavia. Ed infine per inoculare il virus, conclude la circolare, si dovranno utilizzare “applicazioni visibili su app store/play store presenti nel bersaglio da intercettare”. In altre parole, il trojan da ora in poi verrà inserito facendo l’aggiornamento delle app.

Nel caso di Palamara, agli inizi del trojan per tutti, si era provato con il messaggino: sul cellulare dell’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati era arrivato un sms contenente un link che, se aperto, faceva installare il virus. Palamara, pratico di trojan, non aveva abboccato e non aveva aperto il messaggio. Per portare a compimento l’opera il Gico della guardia di finanza aveva quindi chiesto a Vodafone, il gestore del telefono di Palamara, di bloccargli il telefono. Palamara, chattatore forsennato, non aveva resistito più di un minuto con il telefono bloccato. Per sboccarlo aveva seguito le istruzioni tarocche che nel frattempo Vodafone gli aveva inviato. Facendo così partire il virus che ha poi terremotato la magistratura italiana.

Una pratica, quella del blocco, alquanto dubbia che si può prestare a richieste risarcitorie nei confronti dei gestori di telefonia. La circolare della pm Dolci segue il provvedimento del procuratore di Napoli Giovanni Melillo di stoppare tutti gli ascolti che sta svolgendo Rcs per la Procura del capoluogo campano. A Napoli Rcs, i cui vertici sono tutti indagati proprio per la gestione trojan nel cellulare di Palamara, è per il momento esclusa dai nuovi ascolti.