Negli ultimi giorni i quotidiani napoletani hanno acceso i fari su tre popolosi e una volta gloriosi comuni dell’hinterland dal presente assai problematico. A Castellammare di Stabia, dopo un lungo lavoro della commissione d’accesso per verificare irregolarità amministrative e segni di infiltrazioni camorristiche nella gestione della cosa pubblica, è appena intervenuto lo scioglimento del consiglio comunale, segno che le voci hanno trovato conferma.

Non devo ricordare la risalente eccellenza della città delle terme e dei cantieri navali, la forza di un ceto politico che qui ha espresso il meglio dell’antico PCI e di Rifondazione Comunista, da Ersilia Salvato a Catello Polito (sindaco, ma anche grande scienziato), a Salvatore Vozza e della DC, a lungo dominata dalla famiglia Gava, prima di avere più di recente anche sindaci di destra (come ad esempio Luigi Bobbio, già senatore di Alleanza Nazionale, oggi tornato a fare il magistrato), che ha visto nascere glorie del giornalismo, come Michele Tito, Matteo Cosenza, Luigi Vicinanza, Antonio Polito, Antonio Ferrara, Raffaele Bussi e del teatro, da Raffaele Viviani ad Annibale Ruccello e, negli anni più vicini, Gianfelice Imparato. Si pagano divisioni politiche e la contiguità non solo fisica coi fortini gragnanesi di un potente clan. Simile la storia di Torre Annunziata.

La città oplontina fu detta la “Manchester del Sud”, per il porto granario e gli opifici dell’arte bianca, si oppose finché poté (grazie alla giunta socialista del sindaco Gino Alfani e a una battagliera classe operaia) al fascismo e nel secondo dopoguerra tra pochissime nel Meridione votò per la Repubblica al referendum istituzionale. Dopo il mitico sindaco comunista Pasquale Monaco, giunte democristiane e poi di centrosinistra, poi di nuovo il solido controllo del PCI e delle formazioni sue eredi, ma con un partito diviso tra alcune “grandi famiglie”, male endemico tuttora vivo. La storia dell’ultimo cinquantennio vede una lunga decadenza economica per la crisi delle fabbriche, il progressivo dominio della camorra (qui il clan Gionta), “l’affare Siani” e uno scioglimento per infiltrazioni della criminalità organizzata, dopo il quale le forze migliori si raccolsero dietro la guida già liberale e progressivamente spostatasi a sinistra dell’avvocato Francesco Maria Cucolo, un secondo evitato per un soffio e un terzo che fa oggi capolino.

L’esangue sindaco Vincenzo Ascione si è infatti trovato privo del consiglio per una raffica di dimissioni, ma dopo una brutta storia di mazzette per appalti di cui è accusato l’allora capo dell’ufficio tecnico, con perquisizioni disposte poche settimane orsono dalla Dia nelle abitazioni del primo cittadino e di altri amministratori, il voto a giugno è messo in forse anche qui dall’ombra di uno scioglimento per complicità col malaffare organizzato, che secondo la giurisprudenza amministrativa prevarrebbe, dando luogo, come nel confinante comune stabiese, a un commissariamento tecnico almeno biennale.

A San Giuseppe Vesuviano, città dai ricchi commerci, è infine da tempo all’opera una commissione d’accesso. Speriamo in un lungo espurgo dalle tossine, che dia alla società civile il tempo di chiamare all’impegno giovani bene intenzionati e coraggiosi, per rinnovare non solo ceti politici e loro programmi, ma anche attività economiche e culturali. Non si può fallire, quando si attendono i ricchi fondi del Piano di Resilienza e Ripresa, a meno di non dovere rimpiangere che nessuna norma di legge consenta di incidere più nel profondo il tessuto malato che inquina questi agglomerati umani, imponendo di commissariare direttamente le rispettive cittadinanze.