Editoriali
La cultura di Mani pulite è la vergogna della Repubblica italiana
Quando il direttore di questo giornale, ormai quasi mezzo secolo fa, teneva comizi elettorali in giro per il Lazio ostentando le “mani pulite” del suo partito (il Pci), certamente non immaginava che quella dicitura si sarebbe trasfigurata nel segno distintivo dell’eversione giudiziaria organizzata da un manipolo meneghino di pubblici ministeri acclamati nel trionfo delle monetine contro il “furfante” Bettino Craxi (definizione di Claudio Petruccioli), il leader socialista che doveva “consumare il rancio delle patrie galere” (era, nel fiorire della sua sensibilità cristiana, l’auspicio Francesco Rutelli), mentre un sacco di plastica soffocava la vita di Gabriele Cagliari e Raul Gardini decideva di raggiungerlo senza passare da San Vittore sparandosi in testa tra gli stucchi di Palazzo Belgioioso.
A trent’anni dall’inaugurazione del Terrore giudiziario, quel marchio di sapore moralizzante, civilmente osceno e democraticamente blasfemo, persiste nell’uso incensurato e leggiadro che continua a farsene dappertutto, a volte anche da parte di ottime persone (Gherardo Colombo, per esempio, proprio su questo giornale, in una sua recente intervista) cui tuttavia, evidentemente perché non ne sentono l’urto, non repugna la natura viziata né la portata autoritaria di quella definizione.
Eppure una formazione civile anche solo abbozzata porta a capire che “Mani pulite” significa che c’è qualcosa di sporco da ripulire e che c’è qualcuno che siccome è pulito se ne incarica: e non è per accidente ma per conseguenza diretta se la cosa poi passa in televisione, dove si fa “piazza pulita” di quella sporcizia chiamando i magistrati a spiegare che non esistono innocenti ma solo colpevoli che la fanno franca e che rastrellare mezzo migliaio di persone è il gesto rivoluzionario con cui si comincia a smontare come un giocattolo la società corrotta.
Anche una sensibilità democratica abbastanza addormentata capisce che quel claim da brochure ghigliottinara, “Mani pulite”, significa infine “onestà”: e abbiamo visto dove va a risuonare quella parola, con la plebe adunata a strillarla mentre circonda il Parlamento giusto come faceva al tempo dei girotondi sotto i balconi delle Procure, chiedendo a quei pubblici ministeri di far sognare il popolo onesto.
La cultura di Mani pulite, la brutalità proterva dei suoi modi e la buia temperie che li festeggiava, furono e rimangono la vergogna della Repubblica. La vergogna della giustizia. La vergogna del diritto. È una magistratura svergognata quella che ne rivendica la paternità ed è una classe dirigente incivile quella che glielo consente senza dir nulla.
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