Un ragazzino si è tolto la vita buttandosi nel vuoto in un tranquillo quartiere di Napoli. Secondo tutti i giornali, che hanno riportato la notizia, si sarebbe lanciato nel vuoto lasciando scritto “mi dispiace devo seguire l’uomo con il cappuccio“. Secondo i media, visto che la Polizia Postale non smentisce e nemmeno conferma, si tratterebbe del gioco di Jonathan Galindo.

La ricerca, svolta dal data journalist Livio Varriale esperto di fenomeni oscuri della rete e crimini informatici, vuole arrivare alla conclusione se esiste davvero o meno questo gioco mortale che porta al suicidio come obiettivo finale di una lunga serie di sfide. Un’indagine OSINT basata su diversi social networks che tratta in maniera approfondita la tematica senza lasciarsi andare nel copia e incolla generale di questi giorni che alimenta quella che sembra essere una leggenda metropolitana. Una challenge, per dirla nel linguaggio ricorrente dei ragazzini che partecipano prima su YouTube alle sfide degli influencer per poi competere nelle chat private sui vari social di messaggistica come WhatsApp e Telegram per i più “esperti”.

Cosa non torna: le citazioni.

La ricerca effettuata smonta innanzitutto la prima diceria che questo gioco si trova ovunque e sta prendendo piede su tutti i social. Falso. Il gioco è una leggenda metropolitana ed ha luogo nel luglio 2020 per la prima volta. A dimostrazione di tutto questo c’è un grafico con i nomi degli utenti che hanno il nome Jonathan Galindo su Twitter ad esempio. Come da foto e notiamo che la maggior parte è stata creata nel luglio 2020.

UTENTI

Il numero di seguaci non è elevato, mentre c’è un profilo che ha più amici che seguaci ed è di un pedofilo che ha pubblicato foto di un uomo nudo in erezione, sapendo che il target è quello dei ragazzini. Gli altri, invece, sono in lingua inglese o spagnola. I tweets e i post su instagram che non tornano.

TOP Tweets

Dando uno sguardo ai 442 post pubblicati dall’inizio della leggenda Luglio 2020 fino al giorno prima della tragedia napoletana, Jonathan Galindo non è altro che un meme. Una raffigurazione entrata nel linguaggio ricorrente in chiave ironica, dato ancora più interessante invece è che ci troviamo dinanzi a Instagram dove esistono un centinaio di post a tema Jonathan Galindo. Avete letto bene meno di cento e tutti per lo più ironici. La maggior parte dei tweets, invece, va dal 2 settembre al 29 e dopo il caso napoletano in appena un giorno se ne sono registrati 200 in lingua italiana per la maggiore. Anche su telegram il discorso non è differente: il gruppo con più iscritti ad oggi conta una novantina di utenti.

Ricordi del passato: è il clone della Blue Whale o Pink Whale?

Il primo profilo di Jonathan Galindo fa invece riferimento alla Pink Whale Challenge. Peccato che la Pink whale challenge nasca in contrapposizione alla blue Whale challenge da cui sembrerebbe prendere spunto il gioco mortale e guarda caso la Pink Whale è su Instagram, 1.117 posts trovati tramite ricerca OSINT, è in lingua inglese e spagnola.

PINK WHALE

La blue whale era esattamente l‘opposto con una 20ina di sfide di autolesionismo e visione di contenuti gore, omicidi-suicidi, in presa diretta. Si mormora che anche Jonathan Galindo affidi il minore nelle mani di un curatore che minaccia i giovani se non portano a termine le sfide.

Perché bisogna smettere di parlarne?

Youtube negli ultimi mesi è colmo di video sul tema. Molti sono “troll” e cioè prese in giro, ma se tutti ne parlano ovviamente, la curiosità cresce nelle menti dei giovani. Ancora più interessante notare come il fenomeno sia stato pompato da tanti influencer in maniera subdola ed ancora una volta è responsabile la piattaforma di Google per veicolare un messaggio sbagliato ai suoi utenti per lo più minorenni. La storia è una bufala? Non si può certo smentire del tutto, ma una cosa è certa: Jonathan Galindo non nasce in Italia, non era diffuso prima del luglio 2020 ed è una copia della Blue Whale. Quello che potrebbe invece esistere è il disegno di qualche criminale che dietro una creepypasta del genere (storia priva di fondamento che serve a terrorizzare gli spettatori con il fine di intrattenerli) si possa nascondere un assassino che si prende gioco di poveri bambini malcapitati. Anche il fenomeno della Blue Whale all’improvviso si è sgonfiato, guarda caso dopo l’arresto di un singolo curatore che era accusato in Russia di 100 suicidi, cosa matematicamente impossibile.

Nella morte del giovane napoletano non torna una cosa particolarmente nel messaggio lasciato dai suoi cari. Dalle foto presenti su internet di Jonathan Galindo, che in questa ricerca non sono state pubblicate per non dare ulteriore clamore ad un fenomeno che, se reale, la sua divulgazione potrebbe fare più danni di quelli che realmente ne ha fatti già avendo un effetto terrorizzante per i bambini, non risulta che il personaggio indossi un cappuccio, ma un cappellino stile orecchie di Pluto. Una immagine che non è certamente quella del presunto colpevole, ma un personaggio presente in rete, che grazie a questa storia e diventato un meme.

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