“Non lo abbiamo toccato. Respingiamo ogni accusa. Siamo intervenuti per dividere, abbiamo visto un parapiglia e siamo arrivati. Siamo dispiaciuti e distrutti perché accusati di un omicidio che non abbiamo commesso”. Queste le parole di Marco e Gabriele Bianchi durante l’interrogatorio di convalida dell’arresto per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte. I due fratelli sono accusati di omicidio preterintenzionale con Mario Pincarelli e Francesco Belleggia. Domani verrà condotta l’autopsia sul corpo del 21enne di origini capoverdiane brutalmente ucciso in un pestaggio nella notte tra sabato e domenica a Colleferro, Roma.

LA DIFESA – La tesi con la quale i due fratelli si stanno difendendo mette in discussione tutto l’impianto accusatorio e le tesi rilanciate dai giornali negli scorsi giorni. “I miei assistiti non hanno partecipato alla rissa. Sono scesi dalla loro auto per fare da paciere dopo aver visto alcuni loro amici coinvolti nella rissa. Al giudice hanno indicato i nomi di questi amici”, ha detto l’avvocato Massimiliano Pica, difensore dei fratelli Bianchi, al termine dell’interrogatorio. “Si sono fermati per cercare di dividerli – ha spiegato il difensore – avranno anche sbracciato, ma non hanno partecipato”.  L’avvocato ha anche aggiunto che domani depositerà in Procura a Velletri delle nuove prove, testimonianze, a difesa dei suoi assistiti. Pica ha anche aggiunto che i due non hanno visto Willy a terra, vittima del pestaggio, e che nemmeno Pincarelli, altro suo assistito, ha partecipato al pestaggio.

L’INCHIESTA – Fonti investigative confermano all’Agi che è stato escluso il movente razziale. Gli arresti restano quattro: Mario Pincarelli, 22 anni; Francesco Belleggia, 23 anni; Marco e Gabriele Bianchi, di 24 e 26 anni. Il prefetto di Roma Matteo Piantedosi ha smentito le critiche al controllo del territorio da parte delle forze dell’ordine. “L’aggressione è avvenuta in prossimità di una stazione dei carabinieri che sono intervenuti rapidamente – ha detto – possiamo immaginare che sia controllabile tutto, anche le derive culturali, che possono esserci in certi ambienti e che possono portare a fenomeni di questo tipo. Io credo che le condizioni da valutare siano delle precondizioni, valuteremo se c’è qualcosa da migliorare, ci approcciamo in maniera molto laica ma certamente non lasceremo passare l’episodio come se fosse stato qualcosa di casuale, che è avvenuto come fosse stato un accidente della vita. Abbiamo un obbligo anche per onorare la memoria di questo ragazzo di fare tutto il possibile perché sia un atto di inizio di una maggiore attenzione sulla fenomenologia di carattere sociale in certi ambienti giovanili”.

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