Si possono ben capire le ragioni per le quali, in tempi di coronavirus, la dissoluzione della democrazia ungherese non compaia nelle prime pagine dei quotidiani e nemmeno, a quanto sembra, almeno per ora, nelle priorità dell’Unione europea che si guarda bene dal mettere in azione quell’articolo del Trattato legittimato a colpire con sanzioni la svolta. Dinanzi alla tragica crisi economica e sociale che si disegna, in presenza ancora della pandemia, il pensiero e la politica sono dislocati altrove. Ben altro preme, si può dire, alle porte delle nostre città. Ma ciò detto, il tema è di una attualità assai seria. I pieni poteri concessi da un parlamento suddito al presidente Orbán segnano un passo decisivo verso quella disgregazione di democrazia cui accennavo.

La cosa lì viene da lontano, lo sappiamo, la pandemia è solo un’occasione, il processo è in campo da tempo, Orbán appartiene alla folla dei sovranisti più duri, ma oggi la stretta di vite è però radicale, aspra; in ginocchio è la libertà di stampa e di opinione, la base di ogni democrazia costituzionale. I pieni poteri sono il virus che fa da “corona”, proposizione oggi di doppio significato. La preoccupazione deve nascere da uno sguardo sullo stato del mondo. Dappertutto, dove le democrazie costituzionali erano e ancora appaiono forti, oggi comunque soffrono. Le ragioni immediate le conosciamo e possiamo comprenderle senza dover aderire a quegli estremismi, in generale “filosofici”, che invitano alla disobbedienza agli obblighi eccezionali sanciti in questi giorni.

Lo stato d’eccezione fa parte da sempre dei poteri dello Stato sovrano, anche di quello democratico. Io posso rinunciare alle mie libertà personali in vista di una argomentata responsabilità obbiettiva più larga, ma, ciò detto, il tema generale di una crisi si va disegnando con una ampiezza e una progressività straordinariamente ampie. E ciò avviene da tempo, e assai oltre lo stato d’eccezione richiamato. Sono pezzi di mondo che, da sponde opposte, collaborano a una messa in discussione delle democrazie costituzionali. I pieni poteri nel mondo li stanno conquistando, nella geopolitica che domina, Stati in vario modo dispotici, inutile farne qui il ben noto elenco; e, insieme, li stanno elaborando culture e classi dirigenti che nulla hanno a che dividere con la storia di quei Paesi dove la democrazia politica è stata costruita a gran prezzo, e con lotte tra gruppi umani tra loro opposti e idee tra loro in guerra. Il punto è anzitutto qui.

C’è lo spettro di una crisi generale che già prima della pandemia ha visto l’Occidente – dove la democrazia costituzionale ha grande spazio – diviso, indifferente, con lotte interne, visioni opposte, cedimenti culturali, indebolimenti di convinzioni che apparivano consolidate, insomma preda di qualcosa di più di una normale crisi, che ha toccato le opinioni pubbliche e tante diffuse disaffezioni. I parlamenti appaiono spesso ridotti ad aule grigie, là dove erano stati, in vario modo, il nucleo centrale della legittimazione politica. Il dato è sotto gli occhi di tutti, le ragioni, per esser sintetici, nelle straordinarie difficoltà a governare la storia che si è, come mai prima, mondializzata. Sterminata la letteratura sull’argomento.

Anche per tutto questo l’Ungheria preoccupa. Un avamposto di qualcosa? Non credo a questa prognosi troppo lineare, ma penso che si stia aprendo e si aprirà uno scontro nel cuore di una Europa divisa e problematica. Visegrad sembra marciare in questa direzione, sono gli Stati usciti dal comunismo reale. In altri Stati d’Europa avvengono fatti imprevisti, con forze ostili che crescono. Su tutto, si vede lo stato d’eccezione per questa tragedia che l’intero mondo sta vivendo, e da cui non si sa come e quando ne uscirà. L’Occidente mai prima così diviso: come non mettersi a pensare uscendo dai luoghi della retorica? E ora, naturalmente, si aggiunge la pandemia che oggettivamente favorisce la semplificazione dei luoghi di decisione, l’indifferenza per il dibattito, il tutto magari capace di far nascere quell’occasione che, come si sa da secoli, fa l’uomo ladro.

Ripeto ciò che ho detto all’inizio: non faccio parte dei filosofi-eroi che gridano al complotto, per esser breve, pandemico. Ma non mi nascondo che, dappertutto, ogni stato d’eccezione, toccando direttamente i diritti sanciti dalle costituzioni, può star come sospeso in un’atmosfera ambigua, che può consolidare abitudini, stati d’animo, entropie, tutto ciò che può far mutare i sentimenti e le forme della convivenza, e riflettersi sulla salute delle istituzioni.

E anche sulla sommarietà nelle convinzioni di classi dirigenti spesso incolte e impreparate che nulla sanno di storia. Tutto questo accade in quello stato del mondo cui ho accennato. Insomma, sia la geopolitica mondializzata sia la pandemia globale ripongono al centro la necessità di una difesa attiva – e anche innovativa – delle nostre democrazie. L’epoca del dopo virus ci è ignota, oltre a crudeli problemi sociali dovrà rispondere anche a grandi domande politiche.