Negli ultimi tempi mi ha affascinato molto andare alla riscoperta di quello che si diceva agli albori della globalizzazione sulle sorti e il futuro della democrazia liberale, le sue prospettive e i possibili orizzonti. In mezzo a un sacco di materiale, mi sono imbattuto nel saggio “La Fine della Storia e l’Ultimo uomo” del politologo statunitense Francis Fukuyama, molto affascinante e per certi versi a una prima lettura superficiale e molto provocatorio, alla luce della realtà che noi oggi viviamo di estrema crisi e debolezza delle liberaldemocrazie.

Fukuyama infatti, secondo molti critici, postula nel 1992, all’indomani della caduta del Muro di Berlino, la vittoria definitiva del mondo libero sul comunismo e le autocrazie e l’ormai inesorabile trionfo della liberaldemocrazia nel mondo, scenario che più che da politologo e storico, visto con gli occhi di oggi, sembra più che altro una storia scritta da un tifoso sfegatato degli Stati Uniti, seppur in quella fase storica molti erano sinceramente convinti di questa “fine” della storia, dove l’ultimo approdo sarebbe stato la coniugazione vincente tra piena uguaglianza e piene libertà degli individui concessa dalla Liberaldemocrazia.

Leggendo però alcune pagine ho deciso di andare a fondo nella ricerca, andando a spulciare commenti anche degli anni successivi all’opera, e ho compreso come no, Fukuyama non aveva postulato affatto la “fine della storia”, ovvero la conclusione dell’evoluzione della società umana e l’arrivo allo stadio definitivo dell’ultimo uomo, ovvero quello moderno, che vive calato nella globalizzazione e gode di tutti i pieni diritti democratici e libertà individuali, ma bensì aveva delineato in maniera abbastanza oggettiva un percorso intrapreso dall’uomo, e che lo aveva portato a dire che esso, al netto delle congiunture, vive in una dimensione della storia tendenzialmente lineare, non totalmente ciclica, fatta di alti e bassi.

Fukuyama infatti teorizza che l’uomo, dopo secoli e millenni di conflitti e scontri, sia giunto a un livello di progressivo aggiustamento tra le spinte che muovono la società, che lo stanno portando gradualmente a un prolungato periodo di stabilità sociale.

In sostanza propone una visione unidirezionale della storia, che contempla congiunture cicliche dove i fenomeni sociali in parte si ripetono, ma al tempo stesso li fa ricadere in unica macro-tendenza universale dove l’esperienza umana si stratifica, dove si avvicendano momenti di regressione, avanzamenti e stasi nel progresso democratico, sociale e umano, ma che contribuiscono a un disegno più ampio di sviluppo dell’umanità. Il ruolo preminente in questo processo Fukuyama lo affida alla memoria storica nell’evoluzione della conoscenza tecnologica ed umana. Ovvero, le dinamiche sociali evolvono, senza mai ripetersi le une uguali alle altre, grazie alla fondamentale base culturale generata dalla memoria, che porta la traiettoria della crescita e dello sviluppo della coscienza umana verso una direzione orientata al progresso, individuale e collettivo, traendo lezione dal passato.

Questo cosa significa? Beh, che attraverso le forze che guidano e determinano la storia, ovvero la ragione e il desiderio, cioè la razionalità nell’approccio alle cose della vita che determina il progresso tecnologico e il desiderio intrinseco all’identità umana del riconoscimento di sé come soggetto degno di libertà e diritti, si crea questo progressivo scontro e aggiustamento nel corso della storia dell’uomo, partendo da un certo stadio e fino a raggiungere sempre un nuovo equilibrio.

Osservando bene, sembra un po’ la storia della nostra Europa: secoli di guerre, di progressi civili e politici, poi anni di nuove crisi, e infine 2 guerre mondiali, dalle quali è nato poi l’embrione di ciò che noi conosciamo come Unione Europea, faro di libertà e diritti nel mondo, come abbiamo potuto vedere anche nella recente manifestazione oceanica di Chisinau in Moldavia per l’adesione politica e culturale all’Europa, proprio in uno dei momenti in cui si stanno rompendo parte degli attuali equilibri a causa di nuovi conflitti e guerre nel nostro continente.

Nell’antica Grecia, spiega infine lo stesso Fukuyama, era il “Thymos”, ovvero l’anima emozionale e forza interiore, che spinge l’individuo verso l’emancipazione e si manifesta nel bisogno di riconoscimento e dignità, ad avere la funzione riequilibratrice fra le spinte della storia dettate da ragione e desiderio.

Quindi, la fine della storia è quella che per molti anni i critici hanno derubricato a velleitaria visione deterministica e predestinata dell’evoluzione umana, o forse un interrogativo aperto?

Mi spiego meglio: e se la fine della storia di Fukuyama, altro non era che la presa d’atto dell’arrivo in un nuovo punto d’equilibrio della storia? Non, quindi, l’arrivo alla “Terra promessa” definitiva, ma semmai la temporanea stabilizzazione dell’equilibrio del progresso umano, in una forma di organizzazione politica che è quella in cui viviamo oggi?

Rileggendola con questa chiave di lettura, tra l’altro parzialmente confermata dai vari interventi nel corso degli anni sull’opera, possiamo trarre però un finale che lascia un po’ di inquietudine: ma se la storia, secondo Fukuyama, prevede una traiettoria lineare con un destino comune, interessata da fasi altalenanti di regressioni e avanzamenti, è allora plausibile che potremmo assistere alla fine della liberaldemocrazia? Surreale no?

Forse, magari potrà andare in crisi in molte aree del mondo, mentre potrà sbocciare in altre, oppure trasformarsi e assumere nuove sembianze e forme migliori. Ciò però che è chiaro ed è a mio avviso inequivocabile è che no, la democrazia liberale non è un dato ormai acquisito e messo in cassaforte dalla storia: il futuro potrà riservarci non poche sorprese, ed era lo stesso Fukuyama che forse provava a spiegarcelo 30 anni fa.

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Nato nel 1995, vivo a Trieste, laureato in Cooperazione internazionale. Consulente per le relazioni pubbliche e istituzionali, ho una tessera di partito in tasca da 11 anni. Faccio incontrare le persone e accadere le cose, vorrei lasciare il mondo meglio di come l'ho trovato. Appassionato di democrazia e istituzioni, di viaggi, musica indie e Spagna