“La Françafrique non esiste più” confessa il presidente francese Emmanuel Macron durante il suo intervento in televisione. Una frase lapidaria, che si unisce all’annuncio del ritiro dell’ambasciatore dal Niger e di quello dei soldati francesi di stanza nel Paese. “Sarà un rientro ordinato, nelle settimane e nei mesi prossimi” assicura il capo dell’Eliseo.

Ma se al momento appaiono remote le ipotesi di un disastro mediatico e strategico come avvenuto con la fuga dall’Afghanistan, l’immagine che traspare dalle parole del leader francese è soprattutto quella della lucida consapevolezza. L’Africa è cambiata. E Parigi, capitale di quel vecchio impero che ha segnato i destini in particolare della parte occidentale del continente africano, si trova ora a dover fare i conti con una regione in piena trasformazione in cui, inutile ricordarlo, la prima vittima di questo sommovimento è proprio la Francia.

La nazione europea è vista come il simbolo di quell’imperialismo occidentale che le opinioni pubbliche locali e le giunte militari sorte dopo i vari colpi di Stato ritengono l’origine dei loro problemi e quindi il nemico contro cui combattere (in questo sobillate anche dalla propaganda esterna). Ed è un processo in corso da anni. Quasi tutti i Paesi dell’ex impero francese hanno subito un percorso di destabilizzazione spesso sfociato in golpe militari. E non sono state rare le occasioni in cui manifestanti e ribelli hanno messo come primo punto del nuovo regime la fine di qualsiasi accordo con Parigi. Emblematico è proprio il caso del Niger, dove il colpo di Stato contro il presidente Mohamed Bazoum fu accompagnato da manifestazioni di protesta che presero d’assalto l’ambasciata francese a Niamey. Parigi ha incassato il colpo senza reagire. Per un certo periodo di tempo, si è pensato che la Francia, colpita al cuore della sua strategia africana, non avrebbe accettato che la nuova giunta militare alla guida del Niger potesse prendere terreno “tenendo in ostaggio” – come hanno detto i più critici di Macron – le truppe francesi schierate in funzione antiterrorismo. Ma nonostante la minaccia di un intervento militare di Ecowas (la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) e nonostante il radicamento degli apparati francesi nella regione, l’Eliseo non è riuscito a scalfire le ambizioni della giunta, che anzi si sono radicalizzate.

Soltanto una decina di giorni fa, Macron aveva dovuto ammettere che l’ambasciatore viveva sostanzialmente in ostaggio. Nella stessa settimana, a Niamey, gruppi di manifestanti sono poi scesi in piazza per protestare contro la presenza delle truppe francesi nel Paese. Negli ultimi giorni, l’annuncio da parte del regime della chiusura dello spazio aereo ai velivoli transalpini di qualsiasi genere, anche di quelli noleggiati. Un crescendo di tensione sfociato nell’annuncio del ritiro dell’ambasciatore e dei militari da parte del presidente francese, e che è stato salutato dalla giunta golpista con un comunicato euforico. “Questa domenica celebriamo la nuova tappa verso la sovranità del Niger. Le truppe francesi e l’ambasciatore di Francia lasceranno il territorio nigerino entro la fine dell’anno. È un momento storico che testimonia la determinazione e la volontà del popolo nigerino” hanno detto in televisione. E ora si aprono diversi punti interrogativi riguardo il futuro del Paese e di tutta la regione, e che chiamano in causa direttamente l’Europa.

Perché, se è vero che la Francia rappresentava prima di tutto sé stessa nella “sua” Françafrique, è anche vero che essa aveva avviato, dopo forti reticenze, un processo di condivisione degli impegni in Sahel con i partner dell’Unione europea. Del resto, tutti gli Stati membri sono coinvolti più o meno direttamente nella partita per la stabilità di quella fascia africana. E ci si può chiedere se questa decisione della Francia sia il preludio a un futuro coinvolgimento diretto dell’Ue. Al momento non è previsto un ritiro di tutte le forze dei singoli Paesi Ue né di quelle statunitensi. Ma anche il segretario alla Difesa Usa, Lloyd Austin, ha ammesso che sono in corso valutazioni su “passi futuri che diano priorità sia ai nostri obiettivi diplomatici che a quelli di sicurezza”. Difficile fare previsioni. A oggi, resta solo in piedi la complessa ipotesi di un intervento di Ecowas, che sembra avere il supporto di Parigi. Interessanti le parole della ministra degli Esteri francese, Catherine Colonna, che all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha parlato di “soluzioni africane alle crisi africane” affermando l’impegno del governo ad “appoggiare organizzazioni regionali che le sollecitano”.

Tuttavia, il timore è che la soluzione regionale, specie se militare, possa tradursi in uno scontro sanguinario su cui si innestano interessi mondiali. Mali, Niger e Burkina Faso, i tre Stati retti da giunte golpiste, hanno ufficializzato – con benedizione di Mosca – un patto di mutua difesa contro interventi esterni. L’Algeria ha già avvertito della sua contrarietà a un’operazione militare in Niger. E mentre dal Sahel si ritirano i francesi e si riducono le possibilità di intervento occidentale, si inseriscono vecchie e nuove potenze, tra cui Cina e Turchia oltre alla Russia, che sedimentano le loro attività radicandosi nella regione. Le bandiere ammainate delle forze francesi e l’annuncio di Macron rischiano dunque di essere solo l’ultima fotografia di un ritiro che riguarda non solo Parigi, ma anche l’Europa e, in ultima analisi, l’Occidente.