Non bastavano mai tutto quello champagne a diluviare nelle coppe, tutti i taxi e gli aerei, le copertine dei settimanali e gli articoli sui quotidiani, Parigi e New York, i romanzi e la danza. Zelda aggiungeva pezzi, colori alla vita, alla sua e a quelle intorno, quella di Francis Scott Fitzgerald soprattutto. Il suo mistero era in fondo alla condanna di essere sempre “la donna dietro” il grande romanziere, una specie di macchietta, la ragazzina capricciosa e isterica che Pier Luigi Razzano ha raccontato nel romanzo La Grande Zelda (edito da Marsilio) dov’è lei protagonista assoluta.

Fu lei a disegnare Gatsby, tratti e posa, e a mostrarlo al marito che riconobbe il suo personaggio, lui e quella luce verde. Lei a essere scrittrice prima di incontrare Scott, a capire meglio di lui quello che scriveva “il più grande scrittore della sua generazione”, ragazza gardenia e “maschietta” a rompere la gabbia delle insegnanti secondo cui il “nome di una signora dovrebbe apparire stampato e diffuso soltanto tre volte: alla nascita, al suo matrimonio e alla sua morte” – è uno di quei momenti da storie della buonanotte per bambine ribelli.

Razzano – napoletano nato a Firenze, collaboratore di Repubblica, tra i fondatori della festa del libro Un’Altra Galassia – ha percorso per anni biografie e articoli, gli archivi di Princeton, letture e riletture delle opere per ricondurre tutto alla quotidianità, alla voce di Zelda Sayre che da un manicomio in Svizzera nel 1930 ripercorre una traiettoria forsennata. Quella dell’età del jazz, la festa mobile di una gioventù perenne, sogni e tracolli della generazione perduta e dei ruggenti anni venti. Zelda ha ballato di tutto, pittrice e scrittrice, icona di stile, l’esistenza stessa come un’opera d’arte, spreco di talento e dissipazione di euforie. A un certo punto a New York “tutte vogliono essere Zelda”, la ragazza del sud alla conquista del mondo.

È un romanzo sull’invenzione della giovinezza e sulla fine della giovinezza, su una sorta di proto-femminismo che procede per flashback larghi e altri fulminei, una prosa fresca tempestata di notti infinite, baci epici, litigi storici, tradimenti e possessività. E l’amore unico, inimitabile, certo pure dannato, quello comunque degli altri, che insomma la maggior parte è condannato a vedere da fuori, a non conoscere mai, e che non può che invidiare, maturare rancore, additare quel sentimento dolce e feroce: sono stati sempre giudicati Zelda e Scott.

Lei che fa finta che sia lui a scegliere il nome del romanzo che lo renderà immortale, lui che decide il nome della piccola Scottie. Zelda che fuma incinta, che dal matrimonio nel 1920 in poi vivrà tutti suoi giorni insieme a lui, una dipendenza affettiva di vita violenta e tenera come violenta e tenera è la notte, e Scott che ha il coraggio di pensare: “Se non fosse per Zelda”. Belli e dannati. È l’Europa a disunirli: Roma decadente, Capri una trappola, il Teatro San Carlo di Napoli che nel 1929 propone a Zelda l’Aida da prima ballerina è la crepa inarrestabile.

Zelda aveva avuto, bambina, nell’estate del 1907 l’illuminazione della danza che sarebbe tornata a raccogliere grazie a Madame Egorova e a giorni a massacrarsi i piedi. È stata indomabile, ingovernabile, moglie e madre, inventrice di cocktail e fuggitiva. Wunderkind e ragazza del futuro. Razzano indaga il suo mistero e restituisce il suo vitalismo, il vortice infinito del suo entusiasmo e della sua tristezza. Il mestiere di Zelda Sayre era vivere la vita.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.