L'aggressione all'Ucraina
La guerra fa sempre orrore ma non sempre si può essere neutrali
L’ascesa al potere di Vladimir Putin è tutt’altra cosa di un leader politico a tutto tondo. Putin, agente del Kgb a Berlino Est, ritornato in patria con il crollo dell’Urss, si circonda soltanto di uomini fidati dell’agenzia segreta sovietica, studia i meccanismi nascosti del Cremlino e, con il tempo, mette in atto ciò che ha imparato sostituendo i magnati dell’era Eltsin con una schiera di nuovi personaggi, gli oligarchi, che si impossessano della finanza e dell’economia reale cancellando le leggi in vigore e, nello stesso tempo, ampliando la loro influenza in Occidente e in tanti settori, dallo sport all’industria all’immobiliare. E non accade tutto per caso: nel corso del collasso dell’Urss gli agenti del Kgb mettono le mani sulle imprese statali con la scusa delle privatizzazioni e investono abilmente ingenti capitali accumulati in Occidente. La sfera di influenza si sposta nella politica degli Stati europei e negli Stati Uniti d’America, finanziando il FrontNational in Francia, lo Jobbik in Ungheria, la Lega e il Movimento Cinque Stelle in Italia. Tutto ciò è documentato nel libro di Catherine Belton dal titolo Gli uomini di Putin.
Ma non basta. Molto hanno “civettato” i governi Conte con il Cremlino dispensando onorificenze della Repubblica italiana agli oligarchi che più si erano “distinti” nell’investire nel Bel Paese. D’altronde, non fu il governo Conte 1 a dare carta bianca alla troupe di sanitari e militari russi di girare in lungo e in largo il nostro Paese, anche laddove ci sono zone militari. Parliamo della Puglia in cui ci sono a Taranto e a Gioia del Colle basi Nato. Piaccia o no, c’è stata una influenza di Mosca verso l’Italia di due tipi: una economica tramite gli oligarchi e l’altra militare, insomma, di intelligence. Fino a prova contraria il caso dell’ufficiale della Marina Militare, che passava notizie top secret agli uomini dell’ambasciata russa, non è una storia dei libri di John le Carrè. Ma veniamo all’Ucraina. In primo luogo, Putin è salito in cattedra e ha impartito una lezione di storia ad usum delphini negando l’identità etnica dell’Ucraina. Una bugia grande quanto una casa. Gli ucraini nella storia passata e recente sono stati sottoposti ad atrocità disumane: con Stalin morirono 5 milioni di ucraini di fame, con l’occupazione hitleriana ci fu il genocidio, nelle vicinanze di Kiev, a Bibij Jar di 35 mila ebrei e con Putin il massacro di Bucha e di altre località, ancora tutto da accertare.
Nel 2005, dopo la rivoluzione arancione, un gruppo di filo russi fondò, con la connivenza del Cremlino, il movimento politico “La Repubblica di Donetsk” che aveva nel politologo Aleksandr Dugin, (il quale tra l’altro ha partecipato ad alcuni convegni in Italia per conto della Lega di Salvini), il maitre à penser. A dire la verità, all’inizio il gruppo ucraino non fu preso in considerazione. Poi, facendo sul serio con iniziative autonomistiche, le cose cambiarono. Fino a quando, sotto copertura dei russi, non presero il potere. Erano personaggi senza arte né parte, alcuni di loro erano dei soldati di ventura, come Igor Strelkov che fu definito “mostro e assassino”. Da qui presero le mosse altri movimenti del medesimo conio per la conquista di Crimea e di Doneck. Fino ad arrivare ai giorni nostri, ovverosia alla guerra sporca fra Russia e Ucraina la cui aggressione ha sconvolto la geopolitica. Sugli organi di informazione scritti e parlati abbiamo letto e sentito interventi di personaggi di ogni tipo: pacifisti, panciafichisti, atlantisti, pro e contro Nato, guerrafondai, fascisti (i putiniani legati ad Aleksandr Dugin) contro fascisti (la falange nazifascista ucraina Azov). Bastano e avanzano.
Tra l’altro, vengono evocati i fantasmi del passato, come ad esempio l’ingenuità di Chamberlain che aveva ceduto a Hitler la Cecoslovacchia per evitare le ostilità tedesche. Il paradosso dei paradossi è che Praga fu informata e non invitata e invece della pace arrivò il Secondo conflitto mondiale. Va da sé che la guerra di Spagna del ’36, l’accordo di Monaco del ’38 e il patto Molotov-Ribbentrop del ’39 sono tre passaggi storici che dimostrano, senza alcun appello, l’atteggiamento fellone dei governi democratici europei a cui va la responsabilità dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Per fortuna l’iniziale capitolazione nei confronti della Germania nazista fu riscattata dell’entrata in guerra degli Usa. Per carità di patria, facciamo soltanto due nomi e, in più, la Cgil e l’Uil che ci hanno lasciati basiti sul pacifismo: l’emerito professore Luciano Canfora, intervistato dal Riformista, e il presidente della Commissione Esteri del Senato, Vito Petrocelli (M5S), filo russo contrario a inviare aiuti agli ucraini e filo cinese che ignora il genocidio degli Uiguri. Ciononostante non si dimette da presidente di Commissione.
Partiamo così dal pacifismo delle due organizzazioni sindacali di cui sopra che manifestano contro l’invio delle armi all’Ucraina. La Cgil di Landini è comprensibile, perché Landini aveva creduto di fare il leader della nuova sinistra dura e pura, ma meraviglia la Uil di Bombardieri che ha tradito la tradizione del sindacato sempre schierato con l’Occidente con annessi e connessi. Canfora è un pacifista d’antan da guerra fredda che non tiene conto che la Russia ha aggredito l’Ucraina, Paese indipendente il cui presidente è stato eletto con il 70% dei voti. Non si può imporre né con le buone né con le cattive a un Paese aggredito di arrendersi senza combattere. Questo era il sogno di Putin e sarà anche di Canfora e di tanti della sua stessa pasta politica che accusano l’Italia e non solo di armare l’Ucraina.
Insomma, gli aggrediti dovrebbero arrendersi con le mani legate dietro la spalla all’aggressore. Di fronte a questo quadro bellico, l’Occidente non può accettare bell’e buono il Putin menzognero: l’Ucraina avrebbe voluto entrare nella Nato, come se alcuni Paesi baltici e la Polonia non confinassero con la Russia e non facessero parte della Nato. Putin credeva di fare un blitz, una guerra lampo. Ma l’esercito russo si è trovato di fronte una inaspettata resistenza ucraina e una grande solidarietà internazionale, isolando la sua Russia dal contesto mondiale. Ricordiamo la Russia di Stalingrado e la sanguinosa resistenza contro l’esercito hitleriano: questa battaglia determinò in qualche modo alla vittoria nella Seconda guerra mondiale. E il contributo significativo che la Russia ha dato alla storia della cultura europea e mondiale nel campo della letteratura e delle scienze, in epoca zarista e poi in quella sovietica. Proprio su questa cultura si è scatenata una sorta di maccartismo alle vongole, al punto che è stata compilata la ridicola lista di proscrizione di russofili italiani, dal proscrittore che vuole essere più realista del re.
Talvolta il sonno della memoria si risveglia e ci riporta al quotidiano La Stampa e all’allora direttore, Marcello Sorgi, che pubblicò un brano della prefazione a L’eresia di Aldo Capitini (l’intellettuale che quarant’anni prima aveva inventato la marcia della pace) di Norberto Bobbio, il quale scrisse che restò affascinato dall’opera di Capitini. Sempre sul giornale torinese, Guido Ceronetti correggeva il ritratto apologetico di Capitini fatto da Bobbio: “Ghigliottinò in parte la nostra amicizia proprio l’invenzione della marcia Perugia-Assisi. Capitini aveva flirtato con i comunisti. Come Francesco sperava di trasformare i lupi in agnellini, ma era Mosca che infarinava la zampina”. Intervistato decenni dopo da Valter Vecellio, Bobbio confessò che per la marcia Capitini aveva cercato l’appoggio del Partito comunista. “Quando ricevette un telegramma di adesione di Palmiro Togliatti per me fu come se l’avesse vergato una mano insanguinata. Intollerabile”. Anche Marco Pannella, amico di Guido Ceronetti, polemizzò con Capitini “per via dell’inquinamento da pacifismo di ispirazione sovietica”. Le guerre fanno sempre orrore, ma è difficile in alcuni casi, come nel conflitto tra la Russia aggressore e l’Ucraina aggredita, essere neutrali.
© Riproduzione riservata







