Le parole del primo ministro polacco Mateusz Morawiecki irrompono provocando un terremoto politico tra Kiev e Varsavia. La Polonia, a detta del premier, non fornirà più aiuti militari all’Ucraina se non quelli già precedentemente concordati. E per giustificare una presa di posizione rivoluzionaria per il migliore alleato di Volodymyr Zelensky in Europa, Morawiecki è ricorso a quello che da sempre è l’incubo strategico del Paese: un’eventuale aggressione russa.

Scenario per il quale Varsavia, a detta del capo del governo, ha bisogno di pensare al proprio arsenale. Le parole del primo ministro sembrano però rivelare molto di più. È chiaro a tutti che la Polonia abbia interesse a rafforzarsi sul piano militare anche in virtù della rivalità con l’eterno nemico della Federazione Russa. Ma questo, nonostante le parole di Morawiecki, era visibile sia prima della guerra in Ucraina sia durante il conflitto, anche mentre la Polonia premeva sugli altri alleati per perorare la causa di Kiev sostenendo lo sforzo bellico del Paese invaso.

Varsavia in questi anni è stata una delle capitali più attente alle direttive Nato. E ha avviato un programma di modernizzazione e ampliamento delle proprie forze armate che di certo non era né può essere intaccato dall’invio di armi all’Ucraina. A maggior ragione perché questo ha permesso alla Polonia di consolidarsi come vera e propria potenza militare dell’Europa orientale e anche della stessa Unione europea e della Nato. Proprio per questo motivo gli osservatori hanno storto il naso di fronte alle affermazioni di Morawiecki, che sembrano così avere una ragione ben più concreta e immediata: il grano ucraino.

E con questo, il rischio che la disfida sui cereali di Kiev irrompa nel dibattito elettorale erodendo il consenso dell’esecutivo conservatore. Per capire questo passaggio è opportuno unire alcuni fattori. Il primo sono le prossime elezioni nazionali, che si terranno il 15 ottobre. Un momento cruciale per Morawiecki che, come del resto ogni leader, non vuole sottovalutare con tre settimane ancora di campagna elettorale. Il secondo fattore è appunto quello del grano ucraino, che da mesi provoca i timori dei produttori polacchi e dell’Europa orientale.

Negli ultimi giorni la Commissione europea ha deciso di revocare l’embargo del grano garantito ai cinque Paesi membri dell’Europa dell’Est preoccupati dal fatto che il loro mercato agricolo fosse invaso dai cereali ucraini. Polonia, Slovacchia e Ungheria, tre dei cinque Stati coinvolti, hanno però voluto mantenere le restrizioni, scatenando così la dura risposta di Kiev, che ha addirittura deciso di deferirli all’Organizzazione mondiale del commercio.

Bratislava, nel momento in cui scriviamo, sembra avere quasi del tutto sbloccato l’impasse dopo una breve trattativa. Budapest e Varsavia, invece, tengono il punto. E quest’ultima, da sempre intransigente alleato di Kiev, ha messo in atto una serie di mosse particolarmente nette, oltre che simboliche. Il governo ha convocato l’ambasciatore ucraino per le parole pronunciate da Zelensky all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Parole che alludevano a quei Paesi che sostengono “indirettamente” la Russia e l’Ucraina a parole e che sembravano rivolte a quel blocco di Stati europei di cui fa parte anche la Polonia. Szymon Szynkowski, ministro per gli Affari europei, ha affermato che le mosse ucraine non impressione il governo “ma fanno una certa impressione all’opinione pubblica polacca”. “Vorremmo sostenere ulteriormente l’Ucraina, ma affinché ciò sia possibile dobbiamo avere il sostegno del popolo polacco. Pertanto, a meno che non ci sia il sostegno del popolo polacco, sarà difficile per noi continuare a sostenere l’Ucraina come abbiamo fatto finora”, ha chiosato il ministro.

Infine sono arrivate le parole di Morawiecki: dichiarazioni dure che vanno a colpire su quello che è inevitabilmente il punto più delicato per Kiev, e cioè il sostegno militare necessario per resistere in quella logorante guerra iniziata a febbraio 2022 da Vladimir Putin. È chiaro che in un momento così importante della campagna elettorale il governo polacco, tanto più se sovranista, non può accettare di perdere consenso nel settore agricolo né di sentirsi accusato di cedere nella difesa dei prodotti nazionali.

Ma quello che traspare dai veti di Varsavia, Budapest e prima ancora di Bratislava e di altre cancellerie orientali è anche un tema politico e strategico di più ampio respiro. La “guerra del grano”, infatti, ma soprattutto lo schietto – e non meno sorprendente – avvertimento polacco, sintetizzano uno dei grandi dilemmi del sostegno dell’Europa e dell’intero Occidente alla causa ucraina, e cioè per quanto tempo e fino a che punto i partner di Kiev sono disposti a supportare Kiev sacrificando una parte di consenso interno e risorse, ma anche rischiando un’escalation con Mosca.

L’equilibrio sembra aver retto fino a questo momento per due ragioni: la prossimità temporale dell’inizio dell’invasione e la distanza dai più importanti appuntamenti elettorali. Dagli agricoltori polacchi arriva però un segnale importante. E non è detto che ciò non possa replicarsi in altre forme anche nell’anima più “isolazionista” degli Stati Uniti, prossima al voto, così come nei meandri dell’Unione europea che attende l’elezione del nuovo Europarlamento. Il fattore tempo e la necessità far convergere interessi di Kiev, quelli dei partner occidentali e il consenso elettorale rischiano di innescare una vera resa dei conti.

Lorenzo Vita

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