Dopo la protesta degli esercenti gli stabilimenti balneari, ora è il momento della protesta dei tassisti. Il comune nemico è il decreto liberalizzazioni. I tassisti, in particolare, si sono mobilitati contro l’art. 10 del decreto, che prevede una maggiore liberalizzazione dei servizi e un maggiore spazio per le piattaforme elettroniche, quali Uber e Lyft. Al fianco del “partito dei tassisti” Fdi, Lega, Leu, Pd, per i quali il decreto sarebbe formulato in modo tale da sacrificare i legittimi diritti dei tassisti. Solo alcuni componenti del Centro, da Azione di Calenda a Forza Italia, spingono per una piena liberalizzazione, perché sarebbe così tutelato l’interesse degli utenti. Sulla contesa aleggia, da un lato, il peso elettorale della categoria dei tassisti, che partiti di destra e di sinistra evidentemente si contendono, e, dall’altro, il potere contrattuale degli stessi, che deriva dalla possibilità, attraverso l’astensione, di nuocere gravemente al turismo e di gettare nel caos la circolazione specie nelle grandi città.

La vera questione di fondo, che pone il decreto concorrenza e che coinvolge tutti, dagli esercenti gli stabilimenti balneari ai tassisti, non è neppure sfiorata. Essa riguarda quale spazio debba essere dato al mercato. Il tema, in definitiva, è sempre quello del modello di società al quale si intende aspirare. Un esempio per meglio comprendere il tema. Se si va negli Stati Uniti, paese simbolo di un sistema di mercato molto spinto, si può facilmente constatare che il mestiere di tassista è appannaggio quasi esclusivo di immigrati e che gli stessi non sono, di regola, lavoratori autonomi, ma dipendenti di grandi compagnie di taxi. La liberalizzazione, dunque, ha avuto un duplice effetto sul piano sociale: ha determinato una proletarizzazione spinta di coloro che svolgono l’attività di conducente, tanto che ad essa sono ormai relegati gli immigrati, e ha favorito una concentrazione capitalistica della proprietà. Il fenomeno, a ben vedere, è sempre lo stesso.

Esso si è manifestato per la prima volta in occasione della rivoluzione industriale ed è poi proseguito, con le stesse caratteristiche, ogni volta che vi è stata una evoluzione del mercato: eliminazione dei piccoli produttori, loro proletarizzazione ed espansione della dimensione capitalistica. Basta pensare a quanto è avvenuto con il commercio on line, che, da un lato, ha consentito la crescita di colossi smisurati e, dall’altro, prima ha distrutto la piccola distribuzione e, oggi, in alcuni paesi, a cominciare proprio dagli Stati Uniti, ha messo in crisi financo i grandi centri commerciali. Di fronte a fenomeni di questa portata economica e sociale, è davvero assai sconsolante che le scelte della politica siano guidate da meri calcoli elettoralistici o da una generica e del tutto superficiale valutazione dell’interesse degli utenti. Ciò è tanto più sconsolante se avviene dopo una pandemia, la quale ha messo in evidenza che le regole di mercato non sono da sole sufficienti a garantire il benessere di una società.

Quelle regole hanno portato ad un vistoso depauperamento del sistema sanitario nazionale, che ha finito con il pesare proprio nel momento in cui la comunità nazionale avrebbe avuto più bisogno di una sua piena efficienza. Così come la disgregazione del sistema di distribuzione fondato sui negozi di vicinanza si sta traducendo in una minore vivacità delle relazioni sociali nei quartieri residenziali e nelle periferie ed in una perdita di sicurezza. Ecco, allora, che il tema della liberalizzazione o no dell’attività di tassista va collocato in un contesto molto più ampio rispetto a quello della opportunità di protezione di una determinata categoria o a quello della prospettiva di garantire all’utenza una offerta più ampia di servizi. La protezione dei tassisti, a ben vedere, potrebbe anche essere risolta senza deviare dal progetto di liberalizzazione, solo garantendo degli indennizzi adeguati. Ma la vera questione è un’altra.

Osservando cosa è successo nei paesi che hanno già intrapreso questa strada, bisogna chiedersi se sia accettabile la proletarizzazione di una ulteriore parte della società italiana ed il cedimento al grande capitale di una ulteriore fetta di mercato. Si tratta di una questione che non si sono posti né coloro che si dichiarano favorevoli al partito dei tassisti né coloro che hanno come solo riferimento l’interesse degli utenti. Si tratta di una miopia grave, che colpisce l’intera attuale classe dirigente e che indica che il paese è guidato senza che vi sia una chiara prospettiva politica.