Un consorzio di media internazionali guidato dal britannico Guardian domenica scorsa ha pubblicato un’inchiesta definita “Uber Files”: un’indagine giornalistica, i cui esiti processuali non sono ancora chiari, partita dall’analisi di 124mila documenti tra cui e-mail, sms e altro materiale sull’attività di lobbying del servizio statunitense di noleggio con autista. I documenti sono riferiti al periodo tra il 2013 e il 2017, gli anni di maggiore crescita per l’azienda. Fanno riferimento alle maniere spregiudicate dell’azienda, dei suoi vertici, e tirano in ballo le relazioni con politici di primo piano e di caratura mondiale.

“Una maxi-raccolta di file riservati ha rivelato come il gigante della tecnologia Uber abbia violato le leggi, ingannato la polizia, sfruttato la violenza contro i conducenti di taxi e fatto pressioni segrete sui governi durante la sua aggressiva espansione globale”. Protagonista di tutta la vicenda è Travis Kalanick, cofondatore e amministratore delegato di Uber, che avrebbe adottato tecniche di pressione politica aggressive e stretto contatto con politici e istituzioni in tutto il mondo per promuovere e rendere l’azienda leader nel settore a livello globale.

Le maniere spregiudicate di Kalanick portarono alle sue dimissioni, caldeggiate dall’azienda già oggetto di attenzioni della stampa americana mentre lo stesso cofondatore era stato accusato di molestie sessuali. Prima però Kalanick aveva cercato di ottenere il sostegno, “corteggiando con discrezione”, primi ministri, presidenti, miliardari, oligarchi e tycoon dei media. I principali nomi che spiccano sono quello dell’attuale Presidente della Francia Emmanuel Macron e quello dell’ex commissaria dell’Unione Europea Neelie Kroes.

La ricostruzione giornalistica ricorda come la Francia nel 2014 fu il Paese europeo che per primo vide il lancio di Uber. Esplosero violente proteste di piazza scatenate dai tassisti. Secondo l’inchiesta Macron avrebbe aiutato l’azienda quando era ministro dell’Economia e accettato di lavorare con l’azienda per riformare le leggi del settore tramite un decreto che allentava i requisiti per la licenza dei conducenti del servizio di trasporto privato. I due si vedevano spesso, si chiamavano per nome, Kalanick aveva accesso diretto allo staff. Secondo i documenti Macron avrebbe fornito a Uber un “aiuto spettacolare” all’azienda.

La commissaria per il digitale Kroes avrebbe sostenuto Uber per accreditarlo presso il governo dei Paesi Bassi, fatto pressioni in violazione delle norme etiche europee, intrattenuto relazioni per unirsi all’azienda prima della fine del suo mandato nel novembre 2014. C’è anche un incontro tra Kalanick e l’attuale Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, al World Economic Forum di Davos. L’allora vicepresidente della Casa Bianca avrebbe modificato il suo discorso preparato e lodato l’azienda dopo il faccia a faccia con l’amministratore delegato.

L’Espresso ha riportato anche un capitolo italiano nella vicenda definito “Italy – Operation Renzi”: presunta campagna di pressione, tra il 2014 e il 2016, con l’obiettivo di avvicinare l’allora primo ministro – definito in alcune mail “entusiastico sostenitore di Uber” – e parlamentari del Partito Democratico. Renzi ha negato di aver “mai seguito personalmente” le questioni di taxi e trasporti e il suo governo non ha mai approvato alcun provvedimento a favore di Uber.

Il colosso californiano si presentava in quegli anni come una startup capace di migliorare i servizi taxi, con servizi e tariffe più vantaggiosi e concorrenziali. Gli anni successivi avrebbero rivelato gli atteggiamenti spregiudicati dell’azienda, che operava in grossa perdita e sulla scorta di grandi investitori finanziari, e gli accorgimenti tecnologici per sfuggire ai controlli delle autorità – come il “kill switch”, un interruttore che rendeva immediatamente inaccessibili tutti i computer di una determinata sede. Quando in Francia esplosero le proteste anche violente dei tassisti, tra il 2015 e il 2016, Kalanick decise che gli autisti parigini di Uber avrebbero dovuto protestare a loro volta. “La violenza è garanzia di successo”, commentò facendo riferimento al rischio di violenze.

Kalanick ha smentito gran parte delle accuse. Uber ha riconosciuto gli errori del passato, parlando di “errori e passi falsi”, ma precisato che dal 2017, ovvero dall’uscita del cofondatore, l’azienda è cambiata. “Non creeremo scuse per comportamenti passati che chiaramente non sono in linea con i nostri valori attuali”, ha dichiarato l’attuale amministratore delegato Dara Khosrowshahi. “Chiediamo invece al pubblico di giudicarci da ciò che abbiamo fatto negli ultimi cinque anni e da ciò che faremo negli anni a venire”.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.