L’esito delle elezioni francesi è stato visto da molti commentatori come un pericolo per l’Europa. L’affermazione di Mélenchon e, ancora di più, di Marine Le Pen viene interpretata come un fattore di disgregazione dell’Europa e, in questa prospettiva, indicato come un significativo segnale dell’avveramento della profezia di Putin, secondo cui le élite europee sarebbero destinate ad essere scardinate da un’ondata di nuovi radicalismi. Quanto avviene in Francia è, poi, messo in relazione con il successo che, stando ai sondaggi, avrebbe ormai consolidato in Italia il partito di Giorgia Meloni. A prescindere dalle differenze ideologiche e dalla distanza, anche personale, tra Giorgia Meloni e Marine Le Pen, la loro affermazione sarebbe la diretta conseguenza dell’espansione di un radicalismo capace di divorare il progetto europeo, come tale tanto più pernicioso in un momento come questo, segnato dalla guerra in Ucraina e dalla contrapposizione, mai così netta, tra Russia e mondo occidentale.

Si tratta di una prospettiva certamente consolatoria, per chi ritiene di potersi collocare nella schiera dei buoni e dei benpensanti, i quali si sentono aggrediti da un voto popolare che non rispetta le loro “sagge” indicazioni. Ma che ha, tra l’altro, l’evidente difetto di non dare per il futuro una prospettiva diversa da una vaga speranza che, a seguito del rimprovero di chi ne sa di più, il popolo di chi vota cambi opinione. Se si prova a portare un rispetto autentico, e non di facciata, al popolo che vota ci si rende conto, tuttavia, che la prospettiva va rovesciata. Il punto non è affatto quello di ricondurre il popolo che vota sulla retta strada, bensì quello di dare una prospettiva di soluzione ai problemi, che segnano la vita quotidiana, togliendo l’impressione, oggi fortissima, che la volontà degli elettori non conti nulla e che l’unica cosa che è loro concessa è quella di esprimere il proprio dissenso, per quel poco che vale, attraverso il voto.

In questa diversa prospettiva, diventa, innanzitutto, inevitabile registrare che l’inadeguatezza dell’Europa non può più essere occultata da una narrazione di un europeismo tanto assoluto, quanto privo di contenuti. Sarà per la inadeguatezza della regola dell’unanimità o per il predominio, che nelle istituzioni europee, hanno gli uffici burocratici, fatto sta che l’Europa è troppo spesso lontana dai problemi dei cittadini. Lasciando da parte la tragicomica questione, che pure esiste, di un potere che si manifesta nella determinazione della lunghezza dei piselli, resta il fatto che di fronte a questioni vitali, quali quelle sulle fonti energetiche o sulla organizzazione del mercato, le decisioni appaiono prese da una distanza siderale, che nessuna relazione ha con i cittadini. Non ci si chiede, ad esempio, quale impatto possa aver avuto nella votazione francese la decisione, assunta in sede europea, di vietare, a partire dal 2035, la vendita di autovetture a benzina. Anche in quel paese, come in Italia, l’industria automobilistica gioca un ruolo determinante nell’occupazione e nell’economia.

Una decisione del genere, gravida di conseguenze sull’occupazione e sull’economia, è stata presa tenendo conto di tutti gli interessi coinvolti o solo della ideologia di quei paesi che, non avendo una industria automobilistica, nulla hanno da temere da una decisione del genere? Basta questo esempio per rendersi conto che è l’Europa, che deve rendersi riconoscibile ai propri cittadini come soggetto politico rappresentativo dei loro interessi, invece che pretendere cieca osservanza. Del resto, la stessa vicenda dei fondi del Pnrr, che sono in corso di elargizione all’Italia, presenta non solo luci, ma anche ombre. In alcuni momenti si avverte il sussiego con cui il ricco elargisce al povero, accompagnato dalla occhiuta determinazione di revocare tutto se non ci si comporta bene. E sullo sfondo c’è sempre la minaccia di ripetere quanto già fatto con la Grecia.

A questo rapporto insoddisfacente con l’Europa si affianca, poi, per gli elettori, la frustrazione che accompagna la presa d’atto che il voto non è più strumento di scelta politica. Se si guarda alle elezioni presidenziali francesi, che hanno visto la vittoria di Macron, sia la prima e sia la seconda volta, il voto non è stato “per”, ma “contro”. Nessuno spazio ha avuto un dibattito serio sulle istanze avvertite dagli elettori di Marine Le Pen. Il che ha fatto sì che programmi, disegno del futuro, aspettative di un nuovo ordine sono passate in ultimo piano, essendo l’unico obiettivo perseguito quello di sconfiggere chi viene rappresentato come un pericolo per la democrazia. Del resto, la stessa logica comincia a manifestarsi anche in Italia, ove si consideri il fuoco di sbarramento che inizia ad investire Giorgia Meloni, ignorando le istanze sociali che attraverso di lei cercano rappresentanza. Se continua così, il voto del 2023 non sarà un voto su un programma di società, ma solo “contro” il preteso pericolo nero rappresentato da Giorgia Meloni.

Già questa situazione è sufficiente a dare conto di quanto profondo sia diventato il fosso che divide corpo elettorale ed élite che governano. In Italia, peraltro, esso è scavato ancora di più dalla consapevolezza, ormai granitica, che il voto popolare non conta niente di fronte alla volontà del palazzo. Avere un presidente del consiglio non eletto dai cittadini è divenuta una prassi negli ultimi settennati presidenziali. Ormai le elezioni sono considerate un pericolo per le istituzioni, con la conseguenza che la pratica democratica del voto invece di essere incentivata è ostacolata. Di fronte a tutto questo, ridurre le elezioni ad una battaglia contro il pericolo nero e per il mantenimento di un’Europa, la cui distanza dai cittadini è sempre più profonda, mette a rischio la tenuta democratica. Il tasso di astensione registrato nelle recenti elezioni politiche francesi e nelle recenti elezioni amministrative italiane è un segnale inequivocabile di un cattivo stato di salute della democrazia. Rifugiarsi in una lamentosa constatazione del rischio di disgregazione dell’Europa significa volere sfuggire ad un serio confronto con la realtà.