La Francia verso il secondo turno dei parlamentari
Elezioni parlamentari in Francia, quali sono i possibili scenari dopo il secondo turno

Le leggi elettorali costituiscono una delle norme più importanti in ogni democrazia rappresentativa. Poco note nei loro aspetti tecnici alla maggioranza dei cittadini, esse sono in genere particolarmente complesse, se si esclude il caso di quelle puramente proporzionali, che assegnano seggi in parlamento in proporzione praticamente eguale alla distribuzione del voto popolare fra i partiti e i candidati. Queste ultime però hanno una strana proprietà: assegnano spesso ai piccoli partiti, che facilmente fioriscono grazie ad esse, un potere molto maggiore del loro valore numerico e quindi del sostegno popolare che li fa esistere. La ragione è semplice. Con le formule elettorali proporzionali è rarissimo che un solo partito riesca ad ottenere la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento.
Ne segue che per formare un governo l’accordo con i piccoli partiti può essere inevitabile, sicché nelle trattative per la formazione dell’esecutivo il loro potere di contrattazione (o coalizionale) è in certa misura dis-proporzionale rispetto alla loro entità numerica. I lettori più anziani ricordano il potere, qualche volta di ricatto, dei piccoli partiti nella formazione dei governi ai tempi della cosiddetta “Prima repubblica”. Più complesso è capire il meccanismo di trasformazione di voti in seggi (la formula elettorale) delle elezioni comunali in Italia o di quelle dell’Assemblea nazionale in Francia.
L’elemento in comune è la possibilità di dare un peso decisivo alla maggiore minoranza del corpo elettorale. Ma si tratta di elezioni per molti versi diverse. Nel caso della legge francese, di cui ci occupiamo ora, i seggi parlamentari, 577, vengono assegnati ai candidati che nei 577 collegi uninominali ottengono il maggior numero di voti. A differenza però del sistema elettorale inglese, se nessun candidato viene eletto nel suo collegio dal 50% più uno dei voti si dà luogo – come accade quasi sempre a un secondo turno. Va osservato, inoltre, che possono accedere al secondo turno solo i candidati che al primo hanno ottenuto almeno il 12,5% dei voti validi degli iscritti. Se teniamo conto del fatto che il tasso di astensione alle legislative si aggira ormai in Francia intorno al 50% – 51,3 nel 2017, 52,49 ora – un candidato deve ottenere almeno il 20% dei voti espressi per accedere al ballottaggio. Il vincitore di quest’ultimo otterrà il seggio in Parlamento. In otto casi questa volta il ballottaggio sarà fra tre candidati che hanno superato la soglia e vincerà colui che ottiene il maggior numero di voti al secondo turno.
In passato nei collegi i partiti presentavano ciascuno il suo candidato al primo turno. Tra il primo ed il secondo turno i partiti di destra e di sinistra si mettevano d’accordo e, da una parte come dall’altra, sceglievano il candidato che aveva le maggiori chance di vincere, chiedendo a tutti quelli della medesima parte politica di sostenerlo contro il candidato dell’altra parte giunto a sua volta al ballottaggio – questa pratica aveva il nome di désistement. Oggi il quadro politico di Oltralpe è profondamente mutato. Semplificando un po’, nel primo turno di domenica c’erano molto spesso tre candidati con la possibilità di accedere al secondo turno e vincere il ballottaggio: il candidato/a della maggioranza presidenziale macronista, il candidato/a della destra sovranista di Marine Le Pen e quello/a della sinistra radicale Nupes (Nouvelle union populaire écologique et sociale): il partito trozkista di Mélenchon, il quale ha assorbito nella alleanza l’ala antisocialdemocratica del Parti socialiste, il Parti communiste e la parte estremista del movimento ecologista. Le Pen ha rifiutato un accordo sui candidati con Reconquête di Eric Zemmour. Costui aveva cercato di scalzare dalla competizione per le presidenziali la leader del Rassemblement national e Marine Le Pen sembra esser riuscita a impedire al movimento di Zemmour l’accesso alla Assemblée nationale.
Questa volta, dunque, a differenza che in passato gli accordi possibili fra partiti sono stati fatti prima del primo turno. Tra questo e il secondo non vi saranno accordi possibili. Andranno al ballottaggio per lo più il candidato della maggioranza presidenziale e quello di Mélenchon o quello del partito di Le Pen. Ma è verosimile che il partito post gollista (Les Républicains), che era praticamente scomparso nella competizione per la presidenza della repubblica, riesca a conservare un certo numero di deputati per la sua tradizionale presenza sul territorio, che invece i socialisti hanno perso in larga misura, poiché il partito è scomparso, divisosi fra l’ala socialdemocratica che è confluita nella maggioranza presidenziale e quella massimalista catturata dal movimento della France Insoumise di Mélenchon. Questa scelta si capisce tenendo conto del fatto che se i socialisti avessero corso da soli rischiavano di non accedere ad alcun ballottaggio.
In un quadro come questo, che non ha precedenti nella Quinta Repubblica, era particolarmente arduo fare delle previsioni. Dall’introduzione del mandato presidenziale di cinque anni nel 2000 e la tenuta delle elezioni legislative a ruota di quelle presidenziali, l’effetto di trascinamento, come è stato chiamato, ha garantito al presidente eletto una maggioranza nella Assemblea. È possibile che questo accada anche ora, ma non è assolutamente sicuro. Lo vedremo solo dopo il secondo turno che avrà luogo il 19 giugno. Il problema in questo caso sarebbe però l’impossibilità di una coabitazione. In una Francia politicamente divisa in tre parti ostili e incompatibili, non si vede infatti come Macron possa gestire la politica estera – ciò che faceva in passato il presidente, per una sorta di convenzione costituzionale, in caso di coabitazione, quando l’Assemblea aveva una maggioranza di diverso colore politico – con un primo ministro come Mélenchon o Marine Le Pen che, in particolare sull’Unione europea e l’atlantismo, hanno una posizione opposta a quella del presidente. Ma se Macron non fosse in grado di governare da solo, grazie ad una sua maggioranza assoluta all’Assemblea, dovrebbe poter governare grazie ad un accordo con i deputati della destra europeista dei Républicains.
Dai dati che abbiamo dopo il primo turno si possono trarre alcune osservazioni, che andranno verificate dopo i ballottaggi. Come c’era da aspettarsi e come i risultati confermano, il paese, come abbiamo detto, è diviso politicamente in tre parti, con una maggioranza su posizioni estremiste e un centro moderato che, vista l’impossibilità delle due ali estreme di cooperare, grazie alla legge elettorale resterà il gruppo più importante. La forza delle posizioni estreme rappresentate da Mélenchon e Le Pen è un caso unico nelle democrazie europee e questo è evidentemente il problema maggiore per la Francia di oggi. Se guardiamo i dati in termini di voti ottenuti, si tratta di tre parti equivalenti che valgono ciascuno intorno al 12% degli aventi diritto (considerando gli astenuti, e quindi non la percentuale dei voti espressi). I candidati del partito di Le Pen hanno ottenuto solo l’8,68%, ma se ci fosse stato un accordo con la formazione politica di Zemmour la destra radicale avrebbe ottenuto la stessa percentuale di voti delle altre due formazioni.
Il movimento di Mélenchon che alle elezioni presidenziali era stato scavalcato da Le Pen per l’accesso al ballottaggio, ha conquistato questa volta più posizioni nella competizione per il secondo turno, poiché invece di correre da solo, come per le elezioni presidenziali, è riuscito a creare una coalizione di tutte le forze della sinistra radicale, cresciuta dopo la dissoluzione del partito socialista e i conflitti interni al movimento ecologista. La destra radicale che, se fosse stata unita aveva potuto sfidare Macron al secondo turno delle presidenziali, è andata divisa alle legislative, per la volontà da parte di Marine Le Pen di escludere Zemmour dalla Assemblea e fargli pagare il tentativo di prenderne il posto alla leadership della destra etno-nazionalista. Tuttavia, il partito di Le Pen ha ottenuto più voti in questa tornata elettorale che mai in passato, quindi non si può parlare di una sconfitta. La Francia deve attraversare il difficile passaggio da un sistema politico che ha sempre opposto destra e sinistra ad uno che vede le ali radicali assediare le forze moderate ed europeiste.
Non è possibile prevedere per ora la composizione dell’Assemblea, ma se la maggioranza assoluta non sarà nei macronisti, non sarà certamente di nessun altro. I duelli del secondo turno più rilevanti numericamente saranno in 278 casi fra Ensemble (la maggioranza presidenziale) e Nupes (la coalizione della sinistra radicale) e in 110 fra il partito di Le Pen (Rassemblement national) e Ensemble. Fra una settimana sapremo quante difficoltà avrà il presidente Macron a governare un paese nel quale anche se otterrà la maggioranza legislativa non ha il consenso della maggioranza della popolazione. La legge elettorale può dargli la maggioranza rappresentativa, ma, in assenza di un chiaro consenso popolare, governare la Francia può diventare una sfida difficile o impossibile da vincere.
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