Marco Vannini aveva 20 anni quando è stato ucciso da un colpo di pistola. Il ragazzo, originario di Cerveteri, era a casa Ciontoli a Ladispoli, sul litorale romano, la residenza della famiglia di Martina, la sua fidanzata. Era la notte tra il 17 e il 18 maggio del 2015. Sei anni dopo la Cassazione ha confermato le condanne definitive per l’omicidio di Marco Vannini per Antonio Ciontoli, padre della fidanzata, sua moglie Maria Pezzillo e i suoi figli Federico e Martina. Una vicenda dolorosa che si è dibattuta per anni tra ricorsi e controricorsi.

Com’è morto Marco Vannini

Marco Vannini era a casa della fidanzata Martina Ciontoli a Ladispoli la sera tra il 17 e il 18 maggio 2015. Secondo la ricostruzione fatta dagli investigatori, il 20enne si trovava nella vasca da bagno quando Antonio Ciontoli è entrato in bagno per prendere una pistola dalla scarpiera. Nel compiere quel gesto sarebbe partito casualmente un colpo che ha ferito il ragazzo. Solo successivamente si sarebbe aggravata la sua condizione fino alla morte.

In casa c’era tutta la famiglia Ciontoli. Federico, uno dei due figli telefona al 118. Una chiamata di emergenza partita solo 40 minuti dopo lo sparo. Federico riferisce al centralinista che un ragazzo ha avuto un mancamento per uno scherzo. La cornetta passa alla madre che chiude il telefono affermando che richiamerà in caso di bisogno. Poco dopo la mezzanotte al 118 arriva un’altra telefonata: stavolta è Antonio Ciontoli, che riferisce di un ragazzo che si è infortunato nella vasca da bagno con la punta di un pettine.

L’operatrice sente in sottofondo lamenti e urla di Vannini. L’ambulanza arriva a mezzanotte e 23 minuti: alle 00:54 Ciontoli al Posto di primo intervento di Ladispoli parla di un colpo partito accidentalmente. Viene chiamato l’elisoccorso per trasportare Vannini al Policlinico Gemelli, ma ben due volte sarà costretto ad atterrare per l’aggravarsi delle condizioni del giovane. Poco dopo le 3 del mattino del 18 maggio, Marco Vannini muore.

Il processo alla famiglia Ciontoli

Per i giudici della prima Corte d’Assise d’appello di Roma Antonio Ciontoli, sottufficiale di Marina, “esplose colposamente un colpo di pistola che attinse Marco Vannini”. Fu condannato così a cinque anni di reclusione per avere causato la morte del fidanzato della figlia. I giudici avevano osservato che “Ciontoli ha consapevolmente e reiteratamente evitato l’attivazione di immediati soccorsi” per “evitare conseguenze dannose in ambito lavorativo”.

In primo grado, con la sentenza pronunciata il 14 aprile del 2018, Antonio Ciontoli fu condannato a 14 anni per omicidio volontario, i figli e la moglie a tre anni per omicidio colposo. In appello, però, il 29 gennaio 2019, i giudici avevano dichiarato Ciontoli responsabile di omicidio colposo e la condanna del capofamiglia era stata ridotta a 5 anni, mentre era stata confermata quella per i familiari.

Ma quella sentenza aveva scatenato la rabbia della famiglia Vannini che presentò ricorso in Cassazione, tornando a sostenere la tesi dell’omicidio volontario con dolo eventuale. Il 7 febbraio 2020 il processo alla Suprema Corte: il pg Elisabetta Ceniccola sollecita l’annullamento della pronuncia d’appello, condividendo la tesi della procura generale di Roma e delle parti civili. Quello di Vannini – afferma il magistrato – va inquadrato come omicidio volontario e la sua morte fu causata dai 110 minuti di ritardo nei soccorsi. La prima sezione penale della Cassazione accoglie questa tesi e, annullando la sentenza di secondo grado, rinvia gli atti alla Corte d’assise d’appello di Roma.

I giudici della Cassazione hanno confermato che Marco Vannini è morto come conseguenza sia delle lesioni causate dal colpo di pistola, sia della mancanza di soccorsi che se fossero stati attivati tempestivamente avrebbero scongiurato la morte del ragazzo.

La condanna definitiva per i Ciontoli

L’appello-bis, quindi, sulla base anche delle motivazioni della Cassazione, si conclude lo scorso 30 settembre ripristinando la condanna a 14 anni per Antonio Ciontoli con l’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale, mentre la moglie e i figli vengono ritenuti responsabili di “concorso anomalo” e condannati a 9 anni e 4 mesi di reclusione. Condanne che oggi, al termine del secondo processo in Cassazione, sono divenute definitive. L’unica modifica apportata dai giudici della Cassazione al dispositivo della sentenza d’appello riguarda la specificazione del reato per Maria Pezzillo e i figli Martina e Federico. I giudici, spiegano fonti della difesa, hanno trasformato il “concorso anomalo” in “concorso semplice attenuato dal minimo ruolo e apporto causale”.

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Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.