La Cassazione mette la parola fine sulla vicenda giudiziaria riguardante la morte di Marco Vannini, il 20enne di Cerveteri morto il 17 maggio del 2015 nella casa della fidanzata Martina a Ladispoli (Roma), ucciso da un colpo di pistola.

I giudici hanno infatti confermato le sentenze nei confronti di Antonio Ciontoli, della moglie Maria e per i figli Federico e Martina. Il primo è stato condannato a 14 anni per omicidio volontario con dolo eventuale, gli altri tre a 9 anni e 4 mesi per concorso anomalo in omicidio volontario. I giudici hanno infatti rigettato tutti i ricorsi delle difese.

Si è trattato oggi del secondo pronunciamento della Suprema Corte sul caso: già a febbraio 2020, i giudici del Palazzaccio avevano “detto no” alla prima sentenza di corte d’Appello che aveva derubricato l’omicidio volontario riconosciuto in primo grado a omicidio colposo con una pena a 5 anni per Antonio Ciontoli. In quell’occasione i giudici avevano quindi rimandato il caso in corte d’appello per un secondo processo dinnanzi ad una corte d’assise diversa, quella che il 30 settembre scorso ha sentenziato la pena più pesante ristabilendo l’omicidio volontario.

La sentenza, accolta da un lungo applauso, è arrivata dopo quasi quattro ore di camera di consiglio, dalla quinta sezione penale della Suprema Corte, presieduta da Paolo Antonio Bruno. La famiglia Ciontoli “stasera si costituirà in carcere“, ha spiegato l’avvocato Gian Domenico Caiazza, uno dei difensori dei Ciontoli.

LA REAZIONE DELLA FAMIGLIA VANNINI – “Sono contento che finalmente è stata fatta giustizia per Marco. Gli avevamo promesso un mazzo di fiori se fosse stata fatta giustizia e domani è la prima cosa che farò”. È stata questa la prima reazione dopo la lettura della sentenza da parte di Valerio Vannini, padre di Marco, dopo la conferma delle condanne per i Ciontoli.

“Ci siamo battuti per 6 anni, la paura c’è sempre ma ci abbiamo creduto fino alla fine. Ora giustizia è fatta“, ha aggiunto quasi in lacrime Marina, mamma di Marco.

ASSENTI I CIONTOLINessun membro della famiglia Ciontoli ha assistito alla lettura della sentenza di corte di Cassazione. Questa mattina erano invece presenti in aula Federico e Martina, seduti a destra rispetto alla corte. A sinistra c’erano invece Valerio e Marina, i genitori di Marco Vannini. I due hanno assistito alle circa 4 ore di udienza prima di uscire separatamente, con Federico a “distrarre” i giornalisti per permettere alla sorella di uscire senza essere notata. “Quello che dovevo dire l’ho detto in aula”, ha ripetuto Federico nella ressa di domande e “ho scritto a Marina (la madre di Marco Vannini, ndr)” rispondendo a chi gli chiedeva se avesse chiesto perdono alla famiglia Vannini.

IL CASO – I fatti risalgono al 17 maggio 2015. La vittima venne portata presso il punto di primo soccorso di Ladispoli a notte fonda, quasi due ore dopo essere stato colpito da un colpo di pistola sparato dall’arma che Ciontoli teneva in casa. Le sue condizioni erano ormai disperate: il proiettile, partito dalla pistola di Ciontoli mentre Marco, fidanzato di Martina, era ospite in casa, aveva provocato gravi ferite interne. Dopo il ferimento, i Ciontoli non fecero nulla per salvarlo: il ventenne urlava, preso dal panico per il dolore, ma ai soccorritori i tre componenti della famiglia dissero una serie di bugie: che Marco era scivolato, poi che aveva avuto un attacco di panico dopo uno scherzo, che si era ferito con un pettine.

Antonio Ciontoli ammise che il ragazzo era stato colpito, per errore, da un proiettile, solo davanti al medico di turno: dallo sparo erano passate quasi due ore, la ferita che aveva sotto l’ascella destra, a prima vista non lasciava pensare a un colpo di arma da fuoco, ma gli aveva fatto perdere oltre due litri di sangue. Il proiettile aveva ferito gravemente il cuore e i polmoni, ma se fosse stato trasportato subito in ospedale, è emerso dalle perizie effettuate durante il procedimento, si sarebbe salvato.

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Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.