“Il premierato è una battaglia storica della sinistra”, scandisce Claudio Petruccioli. L’ex dirigente del Pci (ed ex direttore de L’Unità) arriva a Palazzo Madama prima ancora che inizi l’incontro al quale è atteso. Lo attendono, nella sala Nassiriya, Peppino Calderisi, Stefano Ceccanti, Gaetano Quagliariello, Claudia Mancina e Enrico Morando. Raggiunge la sala anche Franco Debenedetti che fu tra i più vivaci animatori del gruppo Ds al Senato, prima ancora che diventasse Pd. Questa prima squadra, la troupe d’élite dei riformisti duri e puri, ha indetto ieri una conferenza stampa per presentare le proprie proposte di emendamento alla riforma costituzionale del premierato. In particolare vengono due emendamenti per “migliorare” e “colmare alcune lacune” del testo sul premierato. A metterli a disposizione di opposizione e maggioranza – alle quali vengono presentate due diverse lettere – è un gruppo di costituzionalisti che si riconosce nelle associazioni ‘Magna Carta’, ‘Riformismo e libertà’, ‘LibertàEguale’, ‘Io cambio’.

A illustrarli per primo è Natale D’Amico, oggi consigliere della Corte dei Conti e venti anni fa tra i primi a lavorare allo statuto del futuro Pd. Premessa indispensabile, quella di D’Amico: “Nessuno dei Costituenti avrebbe pensato che il Presidente della Repubblica avrebbe assunto, negli anni, il ruolo che ha oggi”. E nessuno avrebbe pensato che il bicameralismo paritario avrebbe trasformato le due Camere in cabine di montaggio in cui, moviola alla mano, si fanno procedere le leggi avanti e indietro. E sempre al rallenty. “Quello che noi chiediamo alle varie forze politiche che hanno messo a punto il provvedimento – spiega Quagliariello – è di approfondire la questione della legge elettorale e di cosa accada se nessuno dei vari candidati-premier raggiunge la maggioranza”. Siccome, si osserva nella conferenza stampa, si tratta di punti “significativi” ai quali “sinora non è stata data alcuna risposta” né dalla maggioranza, né dal governo, loro hanno scritto due proposte di modifica al testo che dall’8 maggio comincia il suo iter nell’Aula del Senato. Ed entrambe, illustrate in due diverse lettere indirizzate una alla maggioranza a l’altra all’opposizione, affrontano la questione della “necessità di una forte legittimazione del premier con la previsione di un eventuale ballottaggio”. Il primo emendamento punta “a risolvere le questioni della Circoscrizione Estero e del bicameralismo paritario. Per quanto riguarda gli italiani all’estero che votano, sinora si è adottato un modello che, indipendentemente dal numero di elettori all’Estero, garantisce loro una sorta di diritto di tribuna, cioè “8 seggi su 400 alla Camera e 4 seggi su 2 Ma c’è un altro problema che solleva il gruppo dei riformisti trasversale. Secondo loro andrebbe trovata una soluzione nel caso in cui si arrivasse ad un esito difforme nelle due Camere considerata la diversità per quanto riguarda la ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, la modalità del riparto dei seggi su base regionale al Senato e la diversità delle candidature. E a loro avviso c’è un solo modo: il ballottaggio.

Nel rispetto della giurisprudenza costituzionale sulle soglie per assegnare il premio. Il secondo emendamento propone invece di estendere la platea degli elettori del Presidente della Repubblica facendo votare anche gli europarlamentari italiani e un “numero di delegati delle autonomie locali pari a quello dei delegati regionali”. In più, si vuole innalzare al 55% la maggioranza richiesta dopo il sesto scrutinio “in modo da ampliarne e rafforzarne la base di legittimazione”.
“Noi contiamo che l’aula del Senato emendi il testo – spiega il costituzionalista Stefano Ceccanti – e che la Camera, dopo le Europee, non si adegui al monocameralismo alternato a cui purtroppo ci siamo abituati anche con le leggi di bilancio”. Prevedendo l’elezione a suffragio universale diretto del premier, i quasi 5 milioni di italiani che sono fuori dal Paese, conterebbero per tutti i loro voti e potrebbero diventare determinanti ai fi ni della vittoria di un candidato. Quindi, la soluzione proposta dai riformisti è quella di prevedere “che l’esito delle elezioni sia determinato in base ai seggi”. E, pertanto, non potendo immaginare l’elezione di un premier di minoranza, si dovrebbe optare per il ballottaggio. E dovrebbe toccare alla legge elettorale computare i voti degli italiani all’Estero “in coerenza con l’impostazione costituzionale”, cioè in base al rapporto tra il numero degli elettori e quello dei seggi rispettivamente della circoscrizione estero e delle circoscrizioni del territorio nazionale. In questo modo, al primo turno l’elettore esprimerebbe un unico voto che varrebbe sia per eleggere il premier, sia “per l’elezione parlamentare, senza possibilità di voto disgiunto”. Nell’eventuale ballottaggio, l’elettore si dovrebbe esprimere solo sul candidato premier.

“Non è il sistema francese”, precisa Peppino Calderisi, uno dei padri dell’elezione diretta del premier – per la quale presentò la prima proposta di legge nel 1987 – “ma la necessità di sminare il campo da inevitabili problemi. Cosa succede se nessun premier riceve il 50%? I due candidati premier più votati devono andare al ballottaggio in un secondo turno e i tre-quattro poli che si saranno formati al primo turno devono decidere da che parte stare”. Una soluzione alla quale aveva lavorato anche Augusto Barbera, anni fa. E che infatti Claudio Petruccioli e Enrico Morando ricordano come loro grande battaglia: “Avevamo lottato per candidare Maurice Duverger, uno dei padri dell’elezione diretta del premier, alle Europee con il Pci. Fu candidato ed eletto. Per un soffio – ricorda sospirando Petruccioli – non ci riuscì la stessa operazione con Ralf Dahrendorf. Sarebbe stato bellissimo.
Ma intanto Duverger ci ha aiutato a scrivere la legge sull’elezione diretta dei Sindaci, che appunto abbiamo voluto noi. La sinistra. E che è alla base dell’elezione diretta del Sindaco d’Italia”. Rincara Morando: “Assurdo vedere che lo stesso partito che ha ereditato quella tradizione oggi si scagli contro la riforma a cui avevamo lavorato. Dovremmo rivendicare questa scelta di Giorgia Meloni, di fare la riforma del premierato come la volevamo noi, come una nostra vittoria. E invece gli facciamo guerra, ma perché?”

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.