Ucciso dall’Aids e dimenticato dai compagni di spogliatoio con cui aveva condiviso gioie e dolori del campo. Così è morto Giuliano Giuliani, portiere di Verona (dal 1985 al 1988) e Napoli (dal 1988 al 1990), che oggi si affronteranno in campionato.

A raccontare l’odissea di Giuliano, scomparso a soli 28 anni il 14 novembre 1996, è l’ex moglie Raffaele del Rosario, in una intervista alla Gazzetta dello Sport. Una malattia che divenne chiara quando Giuliani giocava nell’Udinese e che aveva contratto probabilmente durante il viaggio in Argentina per il matrimonio di Diego Armando Maradona.

Giuliano partì per l’Argentina nonostante il 25 ottobre di quell’anno il 1989, era nata sua figlia Gessica. “Non potevo muovermi – racconta l’ex moglie – lui invece partì, nonostante lo avessi supplicato di restare”.

Più di un anno dopo, nel darle la notizia della malattia, “mi confessò di avere avuto una notte di sesso in quei giorni in Argentina, disse che quello fu il suo unico tradimento”, spiega Raffaella. 

Una notizia drammatica perché all’epoca l’Aids era ancora un tabù. “Si pensava fosse una malattia riservata a gay, drogati e a chi aveva una vita sregolatissima. Non certo a uno come Giuliano. Per il mondo del calcio poi era completamente tabù. I giocatori la temevano, avevano paura di essere accostati a determinati ambienti. Infatti sparirono tutti”, racconta l’ex moglie del portiere di Verona e Napoli.

Giuliano infatti morì solo: “In ospedale oltre a me non c’era nessuno. È morto solo per una malattia che può capitare a chiunque”.

Dagli amici e compagni di squadra che avevano giocato con lui nessuna telefonata, nessun messaggio. “Era molto amico di Fusi, Corradini, Renica e Zola, il gruppo più tranquillo – continua l’ex moglie – Tutti scomparsi. Due tre anni fa si è fatto vivo Renica e mi ha chiesto perdono, mi ha detto: “Ho avuto paura”.”.

Raffaella Del Rosario spiega che “in un certo senso” capisce la reazione: “Si sentivano cose allucinanti, c’era chi parlava di festini gay e di droga, quindi questi ragazzi preferivano star lontani”.

Il ‘processo’ in realtà è all’intera società italiana dell’epoca: “I malati erano ghettizzati e credo che sia stato fatto poco anche dopo: la malattia esiste ancora ma nessuno ne parla. Mi piacerebbe fare qualcosa per sensibilizzare la gente, ma da sola è davvero dura. Avrei voluto organizzare una partita per Giuliano, ho lanciato diversi appelli che nessuno ha raccolto. Eppure si fanno tante iniziative per altri calciatori scomparsi, per lui niente. Si vede che la parola Aids spaventa ancora”.

Redazione

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