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Paolo Sorrentino e Maradona: “Girava in Panda, fu una liberazione per quella Napoli cupa e violenta”
Paolo Sorrentino ha scritto e diretto un film “molto più semplice, senza sentimenti articolati o complessi. È un film sulla gioia e sul dolore”. La gioia e il dolore suoi: Sorrentino giovane, ancora un ragazzo, rimasto orfano all’improvviso di entrambi i genitori. È stata la mano di dio arriva al cinema il 24 novembre e su Netflix il 15 dicembre. Ha vinto il Leone d’Argento alla Mostra del Cinema di Venezia. Il suo film più personale, che entra ed esce, sfiora e inventa, a partire dalla sua vita, autobiografia. Un dolore lungo 35 anni.
“Ho censurato il protrarsi del dolore per non fare un film devastante – ha raccontato in una lunga intervista di copertina al settimanale Il Venerdì di Repubblica – Il dolore di quegli anni è molto più articolato e gravoso. Poi, ovviamente, ho censurato le cose che potevano dare troppo fastidio alle persone. E ho fatto violenza ai tempi mescolando e concentrando gli eventi. Di materiale ne avevo tantissimo: nella mia famiglia come in tutte, credo, c’era molta memoria orale – ha aggiunto – la grande trappola di certe storie è che possono avere valore per te, ma non interessano lo spettatore”.
Il titolo è un omaggio a uno dei miti del regista, cui pure dedicò l’Oscar vinto con La Grande Bellezza, Diego Armando Maradona – e quel gol di mano all’Inghilterra al Mondiale del 1986 – che gli salvò la vita: invece di andare con i genitori a Roccaraso nel weekend il padre gli concesse di andare a vedere Empoli-Napoli. Il giorno dopo, al citofono, gli dissero della tragedia: un incidente, i genitori erano morti nel sonno, avvelenati dal monossido di carbonio di una stufa. Era il 1987.
Maradona, per Sorrentino, “non è arrivato, è apparso. Non è sceso da un aereo, lo vedemmo sbucare dal nero degli spogliatoi del San Paolo. Non ci sono immagini del suo arrivo a Napoli. E poi spuntava nei posti, girava la città, ma per non avere la gente intorno si muoveva con la Fiat Panda e la gente si chiedeva se era lui. Quando io e mio fratello lo vedemmo in strada il mondo che in quel momento passava si fermò davvero”.
Quella Napoli dell’84 “era una città incupita, violenta, veniva dal terremoto, dalla guerra fra nuova e vecchia camorra. Mi ricordo che di notte non si usciva quasi, mio padre ripeteva di continuo le sue regole: la sera non ci si ferma al semaforo, si passa con il rosso; se si rimane senza benzina si chiama subito un taxi e si corre a casa. Quando arrivò Maradona fu anche una liberazione”.
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