L’attacco al Crocus City Hall di Mosca offrirebbe il destro a Putin per regolare i conti in sospeso con i jihadisti in Siria alleati della Turchia e questo potrebbe far saltare l’accordo del 5 marzo 2020 di “de-escalation” a Idlib. Ankara aveva il compito di procedere alla smilitarizzazione della restante regione del nordovest della Siria, ancora sotto il controllo delle forze jihadiste ribelli sue alleate, cosa questa che non è mai avvenuta e che ha fatto molto irritare Mosca. L’Isis del Khorasan è stata tra le ali più attive dello stato islamico dalla sconfitta territoriale in Siria del 2019 ad opera della coalizione guidata dagli Stati Uniti e dai suoi partner delle Forze democratiche siriane (Sdf) a guida curda. Oltre agli Usa, sono Russia e Turchia i principali obiettivi dell’organizzazione terroristica. Molti tagiki radicalizzati dalla brutale repressione di Mosca nei confronti dei musulmani in Cecenia e Daghestan e, più recentemente, a causa del sostegno russo al dittatore siriano Bashar al-Assad si sono uniti ai suoi ranghi. Sebbene non vi siano cifre precise, si ritiene che circa 1000 combattenti tagiki siano entrati in Siria nei primi anni del conflitto. Dal 2019, diverse centinaia di tagiki, tra cui donne e bambini, sono stati rimpatriati dai campi di internamento nella Siria nordorientale controllata dalle Sdf.

Appena i media russi hanno diffuso la notizia che due dei presunti attentatori del Crosus sarebbero giunti in Russia dalla Turchia, Ankara si è affrettata a porre in atto due vaste operazione antiterrorismo simultanee, in due giorni consecutivi, in ben trenta province contro le cellule dell’Isis del Khorasan operanti nel paese. Le operazioni, dal nome in codice “Smeriglio-16” e “Smeriglio-17”, hanno prodotto l’arresto di circa trecento persone sospettate di appartenenza all’Isis. Il ministro degli Interni, Ali Yerlikaya, ha detto che negli ultimi 10 mesi sono state condotte 1316 operazioni anti Isis e sono stati effettuati 2733 arresti. Fonti della sicurezza turche affermano che poche settimane prima dell’attentato due degli aggressori di Mosca si erano recati brevemente in Turchia perché il loro permesso di soggiorno in Russia era scaduto. Shamsidin Fariduni, uno dei quattro cittadini tagiki accusati di aver aperto il fuoco sulla folla riunita nell’atrio della sala concerto di Mosca, era entrato in Turchia il 20 febbraio ed era partito il 2 marzo, mentre Saidakram Rajabalizoda era entrato a gennaio ed era ripartito per Mosca il 21 dello stesso mese. Fariduni aveva pubblicato su Instagram otto fotografie scattate nel quartiere Aksaray di Istanbul, dove aveva soggiornato, ha dichiarato di aver ricevuto da alcune persone con cui era in contatto su un canale Telegram la promessa di un compenso di 500 mila rubli.

L’Isis e la Turchia

Al momento resta senza risposta la domanda: come hanno potuto queste persone entrare e uscire dalla Turchia così facilmente, semplicemente mostrando i loro passaporti? Sono frequenti gli spostamenti di militanti tra Afghanistan, Iran, Turchia e Russia.
L’Isis ha condotto numerosi e sanguinosi attacchi terroristici in Turchia tra il 2014 e il 2017. Tra questi vi sono quello al consolato turco a Mosul, in Iraq, nel 2014, gli attentati suicidi a Suruç nel 2015, dove furono uccise 34 persone, e alla stazione centrale di Ankara con 109 morti, che fu il più sanguinoso nella storia della Turchia. Quello alla chiesa cattolica Santa Maria in Sarıyer a Istanbul del 28 gennaio scorso, fu un attentato che fece emergere l’espandersi di cellule tagike del ramo dell’Isis del Khorasan in Turchia. Uno dei due attentatori era infatti tagico. Fu quello il primo attacco rivendicato dall’Isis-Khorasan in questo paese. Anche l’attentato di Capodanno a Istanbul, il 1° gennaio 2017, in un lussuoso nightclub, che provocò la morte di 39 persone e quello dell’anno prima, nel 2016, all’aeroporto internazionale di Istanbul, furono messi in atto da militanti caucasici. In Turchia, tra i detenuti dell’Isis-K vi sono Kasım Güler, leader della cosiddetta “provincia turca” dell’Isis, arrestato nel 2022 e un esponente tagico di nome Shamil Hukumatov, arrestato a Istanbul nel 2023 e accusato di gestire un piano finanziario di 2 milioni di dollari attraverso un canale Telegram. Il 22 novembre 2021 tutti i beni di Ismatullah Khalozai, accusato di gestire attività di trasferimento di denaro internazionale per il gruppo jihadista, furono congelati dal governo turco.

Un rapporto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite rileva che i canali mediatici tagichi e turchi dell’Isis spesso forniscono coordinate bancarie per le transazioni tra Afghanistan, Tagikistan, Uzbekistan e Turchia. Ankara fu accusata di aver costituito di fatto una cosiddetta “autostrada jihadista” durante i primi anni del conflitto civile in Siria, quando lasciò che migliaia di combattenti stranieri attraversassero illegalmente il confine turco con la Siria per unirsi all’Isis e ad altri gruppi jihadisti. La Russia si lamentava da tempo con Ankara per tale comportamento già verso la fine degli anni ‘90, quando i combattenti ceceni ricevevano un addestramento clandestino da commando turchi e poi, a partire dal 2011, quando centinaia di mujaheddin dal Caucaso cominciarono a riversarsi in Siria per tentare di rovesciare Assad. I gruppi jihadisti dell’Asia centrale sono l’obiettivo sistematico degli attacchi aerei russi a Idlib. Anche i jihadisti uzbeki, tagiki, kirghisi e uiguri nutrono rancore nei confronti della Russia così come i tatari di Crimea e i ceceni che avversano Kadyrov, che non vedono l’ora di regolare i conti. La minaccia si era intensificata dal 2015, quando la Russia intervenne militarmente in Siria per sostenere il dittatore Bashar al-Asad nella guerra civile siriana e dopo i vari interventi di mercenari del Cremlino operanti in Africa, nei quali i combattenti dell’Isis vengono spesso presi di mira. La Turchia probabilmente sarà messa alle strette in Siria perché sostiene nella guerra siriana gruppi ribelli sunniti anti Assad che Mosca, alleata di Damasco, considera terroristici.

Naturalmente, Putin starà comunque molto attento a non rompere il gioco di interessi che lega Mosca con Ankara diventata un prezioso portone aperto sui mercati necessaria per alimentare la sua economia di guerra.