“In tredici anni mi hanno chiesto una sola volta un rendiconto”. L’avvocato genovese Fabio Minna, arrestato all’inizio del mese con l’accusa di peculato e falso, passa al contrattacco. Amministratore di sostegno di diverse persone, Minna, secondo le accuse, sarebbe riuscito ad appropriarsi indebitamente di circa 800mila euro riconducibili a quattro dei suoi assistiti. L’avvocato in passato era stato indagato per peculato e circonvenzione di incapace nel suo ruolo di amministratore di sostegno dell’attore Paolo Calissano, poi morto nel dicembre 2021. L’amministrazione era stata decisa dopo che nell’abitazione genovese dell’attore, nel 2005, era deceduta, stroncata da una overdose di cocaina, una donna. Calissano, accusato di cessione di stupefacente, aveva patteggiato 4 anni di reclusione. “Si sono alternati cinque giudici”, ha replicato Minna alle accuse, riferendosi all’amministrazione di Calissano dove le somme sottratte ammonterebbero ad oltre 500mila euro.

Minna, sottolineano gli inquirenti, prelevava continuamente contanti dai conti dei suoi amministrati, disponendo anche bonifici a favore dei propri. Gli ingenti movimenti di denaro, spesso privi di qualsiasi rendiconto, venivano giustificati come pagamenti di fatture false per compensi per assistenza legale o per altre prestazioni professionali di cui non è stata rinvenuta alcuna traccia. Gli avvocati di Minna, in sede di interrogatorio di garanzia, hanno prodotto una nota in cui se ne evidenziava invece la “scrupolosa professionalità”.

Il sorprendente turn over di giudici ha portato nuovamente alla ribalta delle cronache la Sezione famiglia e volontaria giurisdizione del tribunale di Genova. Il Riformista aveva raccontato nelle scorse settimane di un’altra indagine genovese riguardo la gestione dei beni di una persona affidata ad amministratore di sostegno che aveva coinvolto l’avvocata Maria Valeria Valerio, moglie di Ferruccio Sansa, ex giornalista del Fatto Quotidiano e ora consigliere regionale d’opposizione in Liguria. Valerio, per la quale la Procura del capoluogo ligure aveva chiesto l’arresto poi non accolto dal gip, sarebbe diventata beneficiaria di alcune polizze vita sottoscritte da una anziana dipendente di banca per un valore di un milione di euro, soldi che in parte erano serviti per l’acquisto di una casa intestata ad uno dei suoi figli.

Il Consiglio superiore della magistratura si era occupato del giudice della Sezione famiglia e volontaria giurisdizione genovese Paolo Viarengo il quale, per anni, non aveva mai richiesto all’avvocato Roberto Mina (poi condannato) il deposito dei rendiconti sulle sue attività di amministratore di sostegno in tre casi che aveva seguito e che avevano determinato la sottrazione di circa 500mila euro a minori con fragilità. Viarengo, al termine dell’istruttoria, era stato assolto dal Csm perché, anche se era risultato “pacifico che aveva omesso di controllare l’operato di Mina, con conseguente danno patrimoniale per gli amministrati”, e dunque con una “grave violazione” accertata, nei fatti non sarebbe stato nelle condizioni di poter verificare l’operato degli amministratori avendo un carico di lavoro “sproporzionato rispetto a quello gestibile da un singolo giudice tutelare”. Di fatto confermando quanto affermato da Minna. Non proprio un bel viatico alla vigilia del ventesimo anniversario della legge numero 4 del 2004 sull’amministrazione di sostegno.