Al di là delle buone intenzioni di questo o quel dirigente, il Pd napoletano sta utilizzando il civismo, cioè la passione e l’impegno della società civile, né più né meno che come una foglia di fico. E nulla più della recente conferenza programmatica, dedicata alla raccolta di nuove idee per la città, lo può confermare. Spiegherò tra un attimo perché. Intanto, chiarisco che il riferimento al fico-albero è ovviamente allusivo, perché in quello che sto per dire c’entra sicuramente anche il Fico-presidente della Camera, il leader pentastellato da molti dato come futuro candidato a sindaco del centrosinistra allargato (M5s+Pd), ma non esaustivo, perché il gioco di parole è solo una parte del tutto. Vengo al dunque. Il civismo si occupa delle “cose”: dei problemi specifici, piccoli o complessi che siano; della movida nel centro storico come del più generale “diritto alla città”; del traffico e degli autobus che non passano come dei tavolini all’aperto dei bar. La politica si occupa invece delle relazioni tra le cose: di quelle del centro e di quelle della periferia, di quelle individuali e di quelle sociali. In questo senso, la politica include il civismo, ma non si identifica con esso.

«Va più oltre», avrebbe detto un tempo l’insuperato Stefano Satta Flores di C’eravamo tanto amati. È questo che rende stretto, e al tempo stesso difficile, il rapporto tra la leadership politica e la società civile. E proprio questa reciproca dipendenza ci dice anche che quando la politica fa esplicito appello alla società civile per tirarsi fuori dagli impicci, qualcosa non va. Al di là delle apparenze, la politica che fa appello alla società civile è una politica “separata”, che implicitamente ammette di essersi allontanata da una parte di sé. E più fa appello al civismo, più ricorre alla liturgia del dibattito pubblico e del confronto aperto, dei tavoli tematici e dei documenti controfirmati, come appunto è avvenuto alla conferenza programmatica, più quella politica ammette la propria “malattia”, l’avvenuta secessione dalla concretezza delle “cose”. Di conseguenza, più si predispone all’ascolto della base, più quella politica rivela di avere un vertice in altre faccende affaccendato. Ed ecco l’esempio che può rendere tutto più chiaro. A cosa sta puntando il Pd nazionale?

Se ne parla da tempo, ma lo ha ben spiegato Massimo Adinolfi ieri su Il Mattino. Il Pd vuole consolidare il rapporto col M5s per salvare il governo e per non consegnare il Quirinale ai sovranisti, e dunque ha interesse anche a candidare Fico a Napoli. La ragione? Questa: perché così può portare al suo posto Franceschini, il quale dalla Camera potrà poi più facilmente fare il salto per il Quirinale. Questa è appunto la politica delle “relazioni”, quella che “va oltre”; quella che ha ovviamente in grande considerazione Napoli, ma che può anche sacrificarla in una prospettiva più ampia. Al civismo delle “cose” la stessa politica concede perciò non solo l’illusione del protagonismo programmatico, ma anche di quello gestionale, perché di Fico-sindaco ufficialmente non parla, e addirittura fa credere come le sole possibili le candidature di due suoi ministri, Manfredi e Amendola, non a caso entrambi presenti alla conferenza.

In più, poiché alla costruzione di un centrosinistra allargato non può, specialmente a Napoli, rimanere estraneo de Magistris, ecco che la politica delle relazioni improvvisamente si accorge che il dissesto al Comune non può più essere dichiarato: comprometterebbe l’immagine del sindaco. Eppure, al civismo delle cose, fino a un minuto prima, era stato detto che solo in quel modo sarebbe stato possibile salvare Napoli. Bisogna tener presente, tuttavia che tutto questo equivale a tirare troppo la corda e potrebbe provocare effetti diversi da quelli sperati. Dipende molto dal grado di sopportazione del civismo napoletano.