De Magistris va a fondo, pesante come un’àncora. E De Luca? Fluttua alla maniera di un galleggiante in un mare increspato: si vede e non si vede. A differenza dei suoi pari leghisti, che invece si notano, eccome. I sondaggi elettorali vanno presi sempre con le molle, perché per forza di cose, riferiti come sono all’oggi, non possono che essere vagamente indicativi rispetto alla data del voto. Perciò, va preso con prudenza anche quello pubblicato ieri dal Sole 24 Ore, l’edizione 2020 del Governance Poll, l’indagine con cui ogni anno l’esperto Antonio Noto misura il consenso degli amministratori locali. Con le molle, dunque. Ma va preso, nel senso di valutato, soppesato, meditato; e non frettolosamente archiviato come se nulla fosse.

Nel nostro caso, poi, il sondaggio è particolarmente interessante, e va considerato sia per la parte che riguarda il sindaco di Napoli, precipitato al centesimo posto in classifica (su 105), sia per quella che rimanda al governatore della Campania, a sorpresa posizionato a notevole distanza dal podio, dove in molti erano certi di trovarlo; podio clamorosamente tutto occupato da governatori leghisti: il veneto Zaia ( 70% dei consensi), il friulano Fedriga (59, 8) e l’umbra Tesei (57). Sull’affondamento de Magistris ci si poteva scommettere. Le recenti comparsate in tv non sono bastate a riequilibrare le notizie sul reale stato della città, sul dietrofront elettorale, evidente conferma di un deficit di consensi; e sul debito mostruoso accumulato nel decennio, che ha proiettato Napoli in un tunnel dal quale non si sa se e quando riuscirà a uscire. Così, se non è il sindaco che più si allontana dall’iniziale gradimento, de Magistris deve ringraziare solo Virginia Raggi: -24,7 punti, lui; -29 lei.

Non gli può essere di consolazione, inoltre, avere alle spalle, a parte i sindaci di Roma, Reggio Calabria e Catania, anche il palermitano Leoluca Orlando, il peggiore di tutti, la maglia nera, che di punti rispetto all’esordio ne perde però solo 8,2. Inattesa e più stimolante è invece la parte relativa a De Luca. E non solo perché dal sondaggio del giornale confindustriale viene anche una risposta alla domanda con cui ci siamo lasciati sabato scorso. Ricordate? Commentavo il report dell’Anac sulla spesa regionale anti-Covid e di fronte al dato campano, quattro volte superiore a quello laziale a fronte di risultati non molto dissimili, chiedevo quale potesse essere – e non solo per il Pd – il modello ideale di governatore: se Il generoso De Luca o il frugale Zingaretti. Risposta: Zingaretti non di certo, tant’è che il Sole 24 Ore lo valuta ultimo tra i governatori, con una percentuale di gradimento del 31%, la più bassa mai registrata dal Governance Poll. «Paga lo scotto della doppia carica: presidente di Regione e segretario del Pd», commenta Noto.

Ma la sorpresa vera – e qui l’altro motivo di interesse per noi – sta nel fatto che se il governatore del Lazio non brilla, tanto meno De Luca fa il botto. Chi si aspettava effetti speciali o strepitosi ritorni di consenso dopo i monologhi con la “mossa” polemica, gli insulti contro l’asino ragliante (Salvini) e le spiritosaggini all’indirizzo della vispa Teresa (Meloni) si è dovuto accontentare di un modestissimo undicesimo posto. È già finito l’effetto-Covid? È troppo presto per dirlo. È pur vero, però, che se De Luca guadagna punti rispetto al giorno dell’elezione (+4,9), per il resto viaggia a una quota di consenso del 46%, di poco superiore a quella del lombardo Fontana (45,3) e di molto inferiore a quella del governatore dell’Emilia Romagna (54). Cosa vuol dire tutto questo? Due cose. Se a sinistra c’è un modello di governatore, questo non ha che un nome: Stefano Bonaccini. Ma se in Italia si aspira a una governance regionale apprezzata – piaccia o non – è praticamente impossibile prescindere dal modello leghista.