La bozza del bilancio di previsione dell’anno in corso, del Comune di Napoli, indica un deficit pari a 2.700 milioni di euro. Quando cominciò il “percorso arancione” del sindaco Luigi de Magistris era di 800 milioni di euro. Una cifra già importante che avrebbe preteso interventi strutturali per ridare slancio e concretezza alle politiche municipali. Il debito nel 2011 derivava da una errata politica economico-finanziaria degli ultimi due governi del centrosinistra. Il punto di crisi era dovuto a un incremento della spesa corrente e a un uso scorretto dei prestiti ricevuti che, invece di essere utilizzati per investimenti, venivano riciclati nel debito producendo un meccanismo infernale. Una svolta, dunque, era necessaria e auspicabile.

Al contrario, dopo qualche mese di dichiarazioni altisonanti, la spesa ritornò a essere fuori controllo, anche per alcune scelte compiute sulle società partecipate che furono riciclate, compiendo un passo indietro di venti anni, in municipalizzate, facendo gravare così i loro bilanci su quello di Palazzo San Giacomo. Questa scelta, negli anni, ha mostrato tutta la sua debolezza sia giuridica che economica. Il Consiglio comunale ha ritardato enormemente la discussione e l’approvazione dei singoli bilanci facendo aumentare i costi e, quindi, i debiti. Già all’inizio della prima giunta de Magistris sostenni la necessità di dichiarare il dissesto finanziario che, invece, venne paventato come la summa di tutti i mali e fu retoricamente evitato. Su questo tema si aprì la crisi tra il sindaco e il suo assessore Realfonzo che scelse poi di dimettersi. In questi anni Realfonzo è più volte tornato a ragionare sulla crisi strutturale del bilancio proponendo ipotesi alternative. Purtroppo, però, nessuno ha voluto ascoltarlo.

Oggi siamo di fronte a una situazione drammatica con i servizi essenziali ridotti ai minimi termini. Basti qui ricordare la crisi del trasporto pubblico locale, la manutenzione urbana inesistente, il sistema viario da terzo mondo, le scuole senza manutenzione. De Magistris, negli anni, si è scatenato contro i governi nazionali che, in realtà, sono più volte intervenuti con provvedimenti utili alla riduzione del debito, ma anche in questi casi la giunta comunale ha gonfiato, con quelle risorse messe a disposizione, la spesa e quindi il debito stesso.

Oggi un fornitore del Comune aspetta almeno 17 mesi per vedere liquidate le proprie fatture. Tutto ciò, naturalmente, aggrava la crisi economica e colpisce il mondo del lavoro. Si continuano a usare slogan contro la dichiarazione del dissesto, evocando scenari inesistenti, poiché la normativa vigente non aggrava le condizioni; al contrario, in un quadro di stringente contingentamento, consente una graduale ripresa della capacità di spesa sia per il personale sia per l’insieme dei servizi alla persona ma, soprattutto, consente di riprendere gradualmente la strada degli investimenti. Per dirla con una battuta, il dissesto libera dalla massa passiva e pone regole dirimenti per riprendere a parlare di futuro in modo concreto e trasparente.

È qui che nasce la grave responsabilità dell’attuale maggioranza, che ha agito intendendo la politica come proprietà privata da gestire tra pochi intimi autoproclamatisi “rivoluzionari”. Tutto ciò è cresciuto a dismisura per la profonda crisi dei partiti e della politica, portando la democrazia a livelli di guardia. L’assenza di una opposizione democratica nel Palazzo e nella città ha portato i nuovi potenti a ritenersi insuperabili. In realtà, alla protervia hanno aggiunto buone dosi di clientelismo, sparso a piene mani verso chiunque. L’assenza di corpi intermedi democratici ha consentito il prolungarsi dell’avvento dell’antipolitica e del populismo.

Oggi siamo a fine corsa e, dunque, de Magistris decide di mettere tutte le carte sul tavolo per tutelarsi verso l’opinione pubblica e verso la magistratura civile e contabile. Così appaiono i 2.700 milioni che graveranno sulla futura classe dirigente e sulle istituzioni. Gli arancioni, a tempo scaduto e dopo aver tentato ogni altra soluzione politica per se stessi (basti pensare alle tante piroette del sindaco), tentano di far crollare le responsabilità del default sui futuri inquilini di Palazzo San Giacomo. Una operazione meschina, propria di un ceto politico piccolo borghese. Après moi le déluge, sembra dire il nostro Luigi, anzi Gigino, gonfiandosi come un pavone. Io credo che non vi possano più essere indugi: il Consiglio comunale sia immediatamente sciolto per far dichiarare il dissesto ai commissari e permettere alla città di scegliere liberamente i propri rappresentanti istituzionali e di costruire un futuro diverso.