Se è vero, come si è detto, che de Magistris meditava seriamente di candidarsi alle regionali, e che lo avrebbe fatto forte di due certezze (non avrebbe vinto, ma avrebbe contribuito in modo determinante alla sconfitta di De Luca), cosa vuol dire aver rinunciato a quel progetto? A conti fatti, una sola cosa: ora de Magistris vuole – e ripeto: vuole – che De Luca vinca. Il che ne implica però molte altre.

La prima. Il lungo sfogliare la margherita, quel petaloso interrogarsi del sindaco (“forse mi candido”, “più ci penso più mi viene voglia”, “voi che dite?”) era solo un modo per dire: ehi, sono qua, e sono pronto a negoziare. Nulla di male: è il tatticismo che taluni elevano a valore politico solo quando porta acqua al proprio mulino.

La seconda. De Magistris ha rotto con la parte dei Cinquestelle che resiste a una convergenza col Pd. Il che consolida una scelta di campo da considerare per il futuro.

La terza. La non candidatura alle regionali è un oggettivo patto di desistenza sottoscritto non solo con il governatore uscente, ma anche, se non soprattutto – e ci risiamo – con il Pd.

La quarta. I patti di desistenza non possono che prevedere reciproche convenienze: dunque prima o poi sapremo quale sarà quella prevista per de Magistris. Per ora restano la curiosità e una certa inquietudine per ipotesi di cui già si parla.

La quinta. In virtù di tutto questo, sarà difficile per il Pd napoletano, partito che con il sindaco ha già fatto accordi elettorali, continuare a dirsi di opposizione: a chi e a cosa, se tutto alla fine sempre si tiene? Per i democrat locali, stretti tra l’iniziativa del Pd nazionale e quella di De Luca, sarà ancora più dura, ora, gestire l’ambiguità, trovare uno spazio proprio, e rivendicare la centralità del capoluogo regionale per cui dicono di battersi e perciò annunciano priorità programmatiche che però ancora non si vedono.

Infine, l’ultima implicazione; l’ultima di questo elenco, ma di gran lunga la più importante. Se de Magistris “vuole” che De Luca vinca, e se a De Luca questo va più che bene, dal momento che tutto gli fa brodo, che senso ha continuare a litigare e a punzecchiarsi su ogni cosa, dagli orari di chiusura dei bar ai festeggiamenti per la Coppa Italia? L’interrogativo è naturalmente rivolto a entrambi: al sindaco che fino a ieri ha individuato nel governatore un minaccioso nemico delle funzioni proprie dell’amministrazione comunale, quasi un commissario; e al governatore che ha invece visto nell’altro il fumo fattosi persona, o peggio: il riferimento della peggiore marginalità sociale, quella eversiva dei centri sociali.

Ora, però, che il destino – dico per dire – li ha messi sulla stessa strada, come possono l’uno e l’altro non darsi una mossa per cercare di salvare il salvabile? Non darsi obiettivi comuni da qui alla fine del ciclo elettorale che a settembre prevede le regionali e la primavera prossima le comunali? Lavoro, innovazione, qualità dei servizi, formazione: la lista dei problemi aperti è infinita. Finora si è parlato solo di movida, il che – beninteso – non sarebbe poca cosa se a partire dai luoghi della vita notturna si riuscisse a immaginare un diverso uso degli spazi urbani e dunque un nuovo assetto della città. Invece, non solo a questo ancora non si è fatto cenno.

Ma addirittura sta per essere varato un piano strategico dell’area metropolitana di Napoli senza che Comune e Regione abbiano mai avvertito la necessità di dirsi qualcosa in merito. Con i tempi che corrono, con le risorse che stanno per rendersi disponibili e con le cose che ci sono da fare, questo è davvero il colmo. È già uno scandalo che tutto ciò sia avvenuto fino ad oggi, ma a maggior ragione lo sarebbe se non si dovesse trovare subito un modo per venirne fuori.