De Magistris è allo sbando, e non ci piove. Ma detto questo, non si è detto tutto. Il sindaco perde pezzi, non ha più una maggioranza, ed è sopravvissuto a una mozione di sfiducia solo perché gli altri hanno le idee più confuse delle sue, e sono rimasti impigliati nelle loro stesse manovre di palazzo. Inoltre, dopo aver inseguito l’ipotesi di un complotto Stato-mafia ai suoi danni, il sindaco ha perso anche la poca lucidità rimasta. Si è capito quando De Luca gli ha chiesto se avesse progetti finanziabili da sottoporgli e lui, che avrebbe potuto tirar fuori qualcosa di simbolico e di creativo, non ha saputo far altro che indicare, in via prioritaria, un elenco fatto di piste ciclabili e luminarie di Natale. Un disastro. Negli ultimi giorni, il sindaco ha anche inanellato una serie impressionante di gaffe e di sconfitte: dalla passerella sugli scogli di via Caracciolo per le feste nuziali, di cui si è successivamente vergognato al punto tale da non parlarne più, alle due bocciature del Tar sugli orari della movida e sui tavolini dei bar. Ed è proprio su questi ultimi episodi che vorrei soffermarmi, ritenendoli particolarmente rivelatori. Di cosa? Di un sindaco, ex magistrato, che riesce a perdere anche le sfide che dovrebbero essergli più congeniali: quelle giudiziarie.

Ma, in generale, di un’amministrazione indebolitasi a tal punto da non aver più la cultura amministrativa necessaria e le risorse tecniche sufficienti per istruire le pratiche più delicate. De Magistris ha sempre sofferto di questo; ha sempre avuto il vizio di presentare come prossime alla realizzazione idee che erano in realtà solo una suggestione o una fisima: dal parco dell’amore nella zona orientale ai Quartieri Spagnoli come Montmartre, dalla moneta anti-euro alla flotta anti-Salvini. Ma negli ultimi tempi le cose sono peggiorate. Tutto è stato buttato lì svogliatamente, con manifesta sufficienza. Tipico di un sindaco che alle spalle non ha più nessuno in grado di trattenerlo al momento giusto, di “impacchettarne” le idee, e di dare una forma amministrativa alle sue pulsioni demagogiche.

Una volta, per intenderci, dietro de Magistris c’era Attilio Auricchio, il capo di gabinetto che fungeva da regista e sindaco ombra. Ora che anche lui ha sbattuto la porta per sopravvenute incompatibilità, è evidente che è l’intera amministrazione comunale a ritrovarsi orfana di un solido riferimento. Ciò detto, c’è un aspetto del problema che trascende i limiti politico-caratteriali di de Magistris. Mi riferisco al ruolo istituzionale del sindaco; al suo essere il massimo responsabile dell’amministrazione cittadina. Difficile negare che questo ruolo oggi sia in crisi; che si sia passati dalle esaltanti primavere degli anni Novanta agli oscuri inverni di questi ultimi tempi. L’emergenza virus ha solo peggiorato le cose. Ma la decadenza è iniziata prima, e non solo a Napoli: chi non ricorda come fu fatto fuori Marino a Roma? A Napoli questa crisi si è però manifestata in modo clamoroso.

Senza tirarla troppo per le lunghe, ricorderò solo che questa è la città in cui è stata scippata al sindaco la titolarità della rigenerazione dell’area di Bagnoli, con la doppia, inutile nomina di un commissario straordinario e di un braccio operativo (Invitalia di Arcuri); e che questa è la stessa città in cui il sindaco non solo non può decidere sulla movida, ma non può neanche indicare dove – per un determinato periodo – può essere consumato un caffè. Naturalmente, ci sono mille ragioni per limitare questi poteri. Ma se un sindaco non può più decidere su nulla, perché c’è sempre un commissario, un governatore o un Tar pronto a metterlo in gabbia, cosa ci sta a fare? Il tema è serio. E invito tutti a non lasciarsi prendere dall’idiosincrasia per de Magistris, perché oggi c’è lui, ma domani potrebbe esserci un sindaco amico.