Nel Centro direzionale il nuovo cuore della movida? Sarà l’ennesimo bluff di de Magistris, ma la novità è questa. Così, mentre Milano piange anche per gli uffici vuoti nei grattacieli di Citylife, desertificata dallo smart-working, Napoli si affaccia su una prospettiva a dir poco sorprendente. In tempi non sospetti, ma quando eravamo già in regime di lockdown, su queste pagine ho parlato di neo-luoghi da contrapporre ai luoghi comuni, intendendo per tali non quelli della pigrizia retorica, ma le piazze e le strade già abbondantemente frequentate. Ho accennato – quando ormai era prevedibile che saremmo tutti tornati ai nostri aperitivi decorati con l’ombrellino – a spazi da riprogettare per diventare alternative al lungomare “liberato”; a periferie, come dicono gli urbanisti, da riportare nella trama urbana; e infine, come molti altri, ho immaginato una Napoli da “allargare” creando flussi di mobilità non solo da Ponticelli a Chiaia o da Scampia al Vomero, ma anche, se possibile, in senso opposto, magari creando concrete e valide occasioni di richiamo.

Altro che pedane per feste nuziali sugli scogli di via Caracciolo. Dalla quarantena alla ripartenza, sulla base di una nuova idea di città: ecco il punto. Detto questo, pare che qualcosa stia per spuntare all’orizzonte. Per cui devo ancora premettere un bel po’ di se, ma alla fine non potrò che parlare della proposta di de Magistris per quella che è. E dunque parlarne bene, sebbene venga da un sindaco senza più maggioranza, che anche il Pd, dopo averlo scelto come alleato per le suppletive del Senato, vorrebbe ora mandare a casa prima del tempo, per manifesta incapacità amministrativa. Dunque, se davvero, come ha annunciato, de Magistris porterà la movida fin sotto i grattacieli del Centro direzionale; se convincerà i gestori dei bar a investire nel progetto garantendo un adeguato servizio di sicurezza; se porterà i vigili non solo tra viali, ma anche nei sottopassaggi e nei garage; se trasformerà in positivo una location per film – a parte la fiction di Corsicato – finora solitamente cupi e a sfondo criminale; e se così facendo riuscirà a umanizzare quello che doveva essere il lato luminoso della modernizzazione napoletana e si è rivelato invece solo un deserto di cemento, allora il sindaco avrà compiuto una sorta di miracolo. Se ci riuscirà, lo vedremo presto. Ma intanto il tentativo merita tutto il sostegno possibile e immaginabile.

Portare la movida nel Centro direzionale (ma anche all’ippodromo di Agnano, nell’area Nato di Bagnoli o in altri luoghi simili) vale infatti tutto un programma, perché una cosa del genere ne implica molte altre. Implica essenzialmente una “visione” (una organizzazione) della città. Una visione ancora tutta ricreativa e commerciale, e dunque ancora a una sola dimensione. Ma questo è un altro discorso. Che altri, magari chi vuole andare oltre de Magistris, dovrà al più presto riempire di contenuti, se vorrà apparire convincente e non solo mosso da convenienze elettorali. Nel frattempo, fa impressione rileggere quanto scrisse l’architetto Giovanni Klaus Koenig nel 1985, subito dopo l’approvazione del progetto urbanistico che Luigi Piccinato volle prevedere nel piano regolatore di quindici anni prima. Il vero problema – profetizzò Koenig – “sarà far sì che il Centro direzionale non diventi un cimitero alle sei di sera, per questo occorre che sia accuratamente vagliata e dosata l’iniezione di altre attività (meno appetibili finanziariamente) non strettamente legate alle ore di ufficio, come le abitazioni e le attività sportive e ricreative, dalla musica al teatro”. Sono passati trentacinque anni.