Benedetto Gravagnuolo, indimenticato storico dell’architettura, le chiamava “le nostre piccole patrie”. Definiva così i quartieri di Napoli, che – estraneo a ogni visione nostalgica – progettava di strappare a un destino di degrado e di modernizzare senza sacrificarne l’originaria dimensione “a misura d’uomo”. Bagnoli, Secondigliano, San Giovanni, ma anche Montecalvario, Avvocata, San Giuseppe: Gravagnuolo pensava a queste realtà assai diverse in una prospettiva unitaria: le immaginava meno distanti dal punto di vista degli standard civili. Stessa qualità dei servizi pubblici e dell’arredo urbano, insomma. Una bellissima idea che ora torna di colpo di attualità. Ne abbiamo parlato ieri, a proposito dell’Insula della Dogana vecchia. A Parigi questa idea l’hanno formalizzata in un progetto che è stato chiamato “la città del quarto d’ora”, e questo progetto è stato poi offerto a Anne Hidalgo, la sindaca uscente.

La quale lo ha quindi scelto come piatto forte del suo menù elettorale. In parole semplici, in una città di questo tipo, tutto sarebbe a portata di mano, raggiungibile al massimo in quindici minuti: il ristorante, il teatro, il parco e magari anche il lavoro, grazie alle aree attrezzate per il co-working. Di conseguenza: meno auto, più aree pedonalizzate, meno trasferimenti, meno assembramenti e più luoghi “multiuso”, tipo le scuole aperte nei fine settimana o i campi da gioco utilizzati anche come oasi di verde. In parole da addetto ai lavori, invece, ciò significa, come spiega Carlos Moreno, il padre del progetto, “trasformare lo spazio urbano, che è ancora altamente monofunzionale, con la città centrale e le sue varie aree specializzate, in città policentrica, basata su quattro componenti principali: la prossimità, la diversità, la densità e l’ubiquità”. L’ideale per il post-Covid19, per un momento come quello attuale, in cui tutti sono interessati a riprogettare le città e a sperimentare modelli innovativi, funzionali e sostenibili.

Il fatto positivo è che di questa città futura si parla finalmente anche a Napoli. Fino a ieri, quando si parlava di intervenire sulla città, le alternative erano sostanzialmente queste, entrambe limitanti: o conservarla così com’è e, in nome della tutela del suo straordinario patrimonio artistico-culturale, celebrare il rito della sua mummificazione; o, per non metterci le mani, per non archiviare l’incubo del laurismo e dei film di Rosi, tollerarne il declino. Oggi, invece, entrambe queste prospettive potrebbero aprirsi sotto i colpi dell’emergenza, poiché necessariamente, per ragioni di sicurezza, bisogna riconsiderare spazi e luoghi, sia interni sia esterni.

Proprio questa necessità potrebbe costituire un’occasione storica per tenere insieme le diverse scuole di pensiero che negli anni hanno ingessato Napoli. La soluzione potrebbe essere proprio la città “di piccole patrie”, la Napoli “del quarto d’ora”. In una realtà di questo tipo, le nobili ragioni della tutela e quelle indifferibili della modernizzazione potrebbero benissimo coesistere. Ci sarebbe infatti bisogno di molta architettura, di molta ingegneria, di molta innovazione e di molta creatività. Da qui l’inevitabile conclusione. Chi, nei prossimi mesi, vorrà candidarsi a governare Napoli non potrà non presentarsi con un nuovo progetto di città. Esattamente come ha fatto Anne Hidalgo a Parigi. Dovrà essere un progetto assai articolato, perché qui si tratta di prospettate, tra l’altro, una security-city senza neanche aver sfiorato il precedente obiettivo della smart-city. E meglio ancora sarebbe se nascesse nella trasparenza di un dibattito pubblico. Altrove – a Firenze, ad esempio – i giornali già sono mobilitati a raccogliere idee e proposte.