Nelle ultime settimane, in tutta Italia, il valore degli immobili con terrazzo o giardino è aumentato dell’8 per cento. Gli agenti immobiliari raccontano di richieste crescenti di casali in campagna con camini, pergola, spazi esterni e, possibilmente, piscina; e se prima chi poteva permetterselo preferiva case piccole in luoghi di grande attrazione come Cortina o Capri, ora i gusti sono radicalmente cambiati: case grandi in luoghi distanti dagli assembramenti turistici.
Tutti noi comuni mortali, poi, ora sappiamo quanto importanti siano, in città, gli spazi aperti condivisi, i pianerottoli, i balconi, il ballatoi e perfino i vani scala. Senza contare i cortili, da sempre simbolo di un abitare antico e comunitario. Ma perché questi rimandi? Cosa ci dice tutto questo?

Semplicemente, che il mondo che ci aspetta non sarà solo di “interni” molto personalizzati e protettivi, di uffici digitalizzati con soluzioni touchless, o di negozi di abbigliamento con fitting room virtuali. Sarà soprattutto un mondo di spazi mai grandi abbastanza per compensare il distanziamento sociale e le sue implicazioni economiche. Ed è inutile aggiungere che se tutto questo è vero, lo sarà ancor di più a Napoli, città con la densità abitativa tra le più alte d’Europa e con il rapporto residente-spazio domestico tra i più bassi e igienicamente allarmanti. Per cui non è difficile prevedere cosa succederà una volta finiti i giorni del lockdown.

Tutti noi lasceremo il divano, attraverseremo il salotto, usciremo in strada, proseguiremo su marciapiedi sconnessi e pieni di buche e trappole, scenderemo scale, attraverseremo incroci e andremo infine a cercare ciò che più ci manca: un parco per correre, un parapetto per sorseggiate uno spritz, una piazza con un bar o una pizzeria e, naturalmente, un lungomare per passeggiare e prendere un po’ d’aria. In questo senso, bisogna riconoscerlo: pedonalizzare via Caracciolo è stata una felice intuizione, perché ora quella strada senza auto torna assai utile, ancora più di prima. Con il lungomare “liberato” – piaccia o non – anche i quartieri (e i Comuni dell’hinterland) senza aria hanno trovato “fuori” la prospettiva che non avevano. Ma ora il lungomare non può più costituire l’unica soluzione possibile per noi che cerchiamo spazio e per i ristoratori che hanno bisogno di aree all’aperto per i loro tavoli. Il che, tra parentesi, non assolve nessuno dalla responsabilità di organizzare con logica e gusto tutto questo.

Ma ciò detto, il lungomare non può essere l’unica soluzione anche per un’altra ragione: perché non ci vuole molto a capire che una cosa è concentrare migliaia di persone sempre negli stessi posti, ammassate come sardine e devastanti come cavallette; e un’altra è invece organizzare alternative, e cioè altre piazze, altri luoghi attrattivi, così da “allargare” la città e, così facendo, accorciare le distanze tra centro elitario e periferie popolari. A proposito: perché non cominciare a individuare e mappare questi luoghi e pensare con anticipo ad arredi urbani apprezzabili?

Va nella direzione appena indicata la soluzione suggerita da Raffaele Aragona su il Mattino di ieri: attrezzare per la movida anche il Molo San Vincenzo, l’alto muro in pietra lavica, di età borbonica, che chiude a occidente il porto di Napoli. Se ne parla da decenni, come è noto. Libri, convegni, manifestazioni non sono bastati a vincere resistenze di ogni tipo. Ma se non ora, quando?