Come ampiamente nelle previsioni, de Magistris annuncia di non candidarsi alle prossime regionali. La motivazione è quella di rito: «Non abbandono la città, c’è bisogno di avviare la ripresa dopo il lockdown, continueremo nell’opera di riqualificazione urbana e di riscatto civico». Un’autoesaltazione sfacciatamente grottesca e smentita dai principali indicatori sulle condizioni dell’ente e la qualità della vita: dal buco nei conti che sfiora i tre miliardi alla crisi drammatica del trasporto pubblico locale, dal degrado dei parchi al disastro del verde pubblico attrezzato, fino al collasso del sistema delle partecipate comunali e all’emarginazione delle periferie.

Il sindaco del capoluogo, alla fine di due mandati perlomeno decorosi, avrebbe dovuto trovarsi di fronte una pletora di partiti, movimenti, associazioni a implorare la sua disponibilità a guidare la Regione. È successo a Bassolino nel 2000, anche l’amico Nando Clemente di San Luca da sindaco democristiano di Napoli divenne presidente della Regione. De Magistris è riuscito nell’ardita impresa di dividere persino il fronte, più che minoritario, della cosiddetta sinistra antagonista, con Potere al Popolo che, prima di attendere le sue determinazioni, aveva già annunciato il proprio candidato alla presidenza. Siamo quindi mestamente ai titoli di coda di un’esperienza di governo, resa possibile dal duplice suicidio del Pd alle primarie del 2011 e del 2016, e trasformatasi in una sventura per Napoli. Altro che programma di fine mandato, non si riesce a comprendere come il primo cittadino possa riprendere il timone di una nave che imbarca acqua continuamente, in piena tempesta, privo di una maggioranza consiliare, con un consesso civico che non si riunisce e non è in condizioni di deliberare da più di un anno! Gli stessi consiglieri che si sono sottratti pochi giorni fa alle firme per la sfiducia hanno già annunciato l’indisponibilità a votare a luglio il prossimo bilancio di previsione.

Né lasciano presagire nulla di buono le recentissime uscite pubbliche di sindaco e giunta, come nel caso dei tafferugli in piazza Bellini, divenuta luogo di una movida molesta, di spaccio e di consumo di droghe. Protagonisti dei disordini i militanti del centro sociale Insurgencia, vicino all’amministrazione. La gazzarra si è conclusa con 30 poliziotti refertati con prognosi fino a 30 giorni e sei camionette semidistrutte. L’assessore alla Cultura non ha trovato di meglio che annunciare la propria partecipazione al corteo contro la “repressione” della polizia per il fermo di tre animatori del centro. Il primo cittadino ha chiosato, con un’apprezzabile comicità involontaria, che la colpa sarebbe stata del clima securitario e della minaccia dei “lanciafiamme” a opera di De Luca.

L’ennesimo capolavoro: istituzioni (Comune) contro istituzioni (Polizia). De Magistris, dopo aver paventato la propria candidatura alle Europee, perde anche l’ultimo treno per rimettersi in gioco politicamente. Alcune indiscrezioni alluderebbero a un’intesa per portare l’ex pm all’Anac: sarebbe gravissimo se Dema da controllato (in quanto amministratore per dieci anni) diventasse controllore, dopo essere stato magistrato al quale l’intero Csm sottrasse le funzioni a vertice del più importante presidio di legalità e trasparenza delle nostre istituzioni. Sarebbe un’ulteriore aggressione al principio della separazione dei poteri garantito dalla Carta Costituzionale e alla certezza del diritto.

Speriamo che questo sconcio ci sia risparmiato. Napoli ha bisogno di recuperare una sana dialettica politica e istituzionale, di uscire dall’isolamento in cui è stata confinata negli ultimi dieci anni, di sollecitare un nuovo protagonismo delle forze dell’impresa, della cultura, del mondo accademico, dell’associazionismo, del sindacato. Si tratta di un cimento non semplice, precondizione è lasciarsi alle spalle questi anni, senza ambiguità, senza indulgere a tentazioni di mediazioni e patti inintelligibili nelle segrete stanze del potere.

Avvocato e già assessore al Patrimonio del Comune di Napoli.