De Magistris è a fine mandato, perciò è inevitabile chiedersi – come fa Sergio Locoratolo su Repubblica – se sia giusto che un sindaco nelle sue condizioni si “arroghi il diritto” di delineare la città del futuro; o se non sia meglio, invece, accelerare i tempi per affidare questo compito a un’altra amministrazione. Parallelamente, sul Corriere del Mezzogiorno, il ministro Vincenzo Amendola invita de Magistris a sostenere con una sua lista la ricandidatura di De Luca alla Regione. Le due prospettive non sono in contraddizione, tanto più che sindaco e governatore, dopo due anni di ostile indifferenza, hanno appena concordato di incontrasi per discutere della fase due. È semmai in contraddizione il Pd, il partito di Amendola, che nel mentre si dice all’opposizione del sindaco, prima si allea con lui per le suppletive al Senato e poi auspica il bis per le regionali, confermando così di credere sia nella “discontinuità” amministrativa sia nella politica come “alchimia degli estremi”. Ma lasciamo stare.

Sebbene non in conflitto, dicevo, le due ipotesi relative al sindaco – quella di Locoratolo e quella del ministro – presuppongono una diversa valutazione della sua responsabilità. In esaurimento, per il primo; in fieri per il secondo. Dal mio punto di vista, delineare oggi i tratti essenziali di nuova città, immaginare come dovrebbe essere tra cinque o dieci anni, e farlo nel vivo di una emergenza acutissima, non sarebbe un atto di arroganza. Anzi. Sarebbe l’adempimento di un dovere. E ritengo che solo a questo punto, avendo cioè dimostrato di “esserci”, il sindaco potrebbe – se proprio lo si ritiene necessario – diventare oggetto di una iniziativa politica convergente. Viceversa, alludere al sindaco per negarlo e, allo stesso tempo, per accreditarlo come alleato sarebbe davvero paradossale. Si tratta allora di verificare se de Magistris è ancora in grado di “esserci”. Al momento, l’intenzione c’è. Ma solo quella. Lo si deduce da una impegnativa dichiarazione fatta in questi giorni. Vale la pena riportarla per buona parte.

“Sono stato eletto – ha detto – per fare il sindaco e assumermi le mie responsabilità. Voglio decidere come Napoli riparte, e questo non lo può fare la task force della regione Campania. Governo e Regione hanno tolto a noi sindaci la possibilità di organizzare una visione delle nostre città e ci considerano come amministratori di condominio o esecutori testamentari di un fallimento annunciato. Io sto organizzando la città perché non possiamo morire di inedia, di soldi che non arrivano, di burocrazia o di campagna elettorale”. Parole scolpite nella pietra, altro che destinate al web. E tuttavia la questione è: dunque? Dove sono le idee per la città? Dove quelle per le risorse che – garantisce Amendola – ci sono, eccome? E prima ancora: come si intende sollecitarle, selezionarle e accoglierle?

Un sindaco consapevole del proprio ruolo, come de Magistris afferma di essere, avrebbe già aperto il confronto su un’ipotesi di progetto complessivo: urbanistico, architettonico, finanziario. Ma finora non è successo. Per il resto, non si può dire che il de Magistris degli esordi non avesse una visione della città. Era quella di una Napoli commerciale, turistica e ricreativa. Il problema è che le cose sono cambiate, mentre il sindaco è rimasto lì dov’era, tant’è che ancora immagina passerelle sugli scogli del lungomare. Nel corso di due sindacature, si è discusso se dovesse essere quella la dimensione giusta per Napoli. Ma ora è certo, anzi, certissimo: non lo è.