“Napoli ha finalmente cancellato il debito ingiusto”. La settimana scorsa si è chiusa con un ennesimo clamoroso annuncio di de Magistris. Ma siamo alle solite. Le cose non stanno affatto così. Il sindaco non ha cancellato un bel nulla: né il debito storico accumulato negli anni; né quello dei commissari straordinari, piombati in città ai tempi delle passate emergenze; né quello presente, prodotto dall’amministrazione arancione, incurante dei ripetuti altolà della Corte dei Conti confermati dalla Corte costituzionale. Tant’è che de Magistris è entrato a Palazzo San Giacomo con un debito alto e ne sta per uscire con uno altissimo, moltiplicato per tre. Ciò che è realmente successo, allora, lo ha spiegato bene con un post su Facebook Umberto De Gregorio, presidente di Eav, nonché dottore commercialista e revisore contabile: uno che sa di cosa parla.

Nella delibera tanto sbandierata, presentata dal sindaco con compiaciuto tono eversivo, c’è dunque scritto semplicemente questo: che “verrà richiesto allo Stato, stralciandolì dal bilancio del Comune, di accollarsi i debiti“; e che verrà proposto “ricorso al giudice ordinario chiedendo di sollevare la questione di legittimità costituzionale“. Tempo: futuro. Modalità: auspico. Insomma, “il debito, giusto o ingiusto che sia, resta dove è sempre stato: nel bilancio del Comune di Napoli“, chiosa De Gregorio. Il che vuol dire che se in occasione nel prossimo bilancio consuntivo da presentare a fine anno, de Magistris chiedesse ai propri uffici di non calcolare quel debito, immediatamente scatterebbe l’allarme, perché vorrebbe dire commettere un falso, un illecito, qualcosa che nessuna persona sana di mente e minimamente responsabile farebbe. Ma de Magistris continua a bluffare.

Perché? Perché usa le parole per arrotondare i fatti e le immagini per incartare la realtà? E perché suona questi tasti anche a fine mandato, quando sa bene che non ha più futuro come amministratore cittadino? Ovviamente, per opportunismo politico, per costruirsi una prospettiva regionale o nazionale su un fronte di estrema sinistra, e sempre che da quelle parti stiano ancora aspettando lui. Ma detto questo, c’è da calcolare forse anche qualcosa di meno soggettivo: il contesto in cui de Magistris trova ispirazione e incoraggiamento. Lo stesso contesto in cui si muovono anche molti grillini disillusi dall’ingresso nella sala dei bottoni e ora in cerca di un riscatto.

Quello di una pandemia vissuta – paradossalmente – non come una tragedia, ma come una manna venuta dal cielo per purificare la natura, “salvare” l’uomo da se stesso e realizzare finalmente il sogno rivoluzionario. Una sorta di millenarismo laico, di Apocalisse palingenetica, nella prospettiva di un futuro metastorico, dove le cose si mettono a posto da sole, perché così è scritto da qualche parte. Ma a de Magistris e ai suoi assessori sfugge un particolare. Se non delle pandemie, Napoli è purtroppo la capitale delle grandi emergenze. Le quali, da sole, non hanno mai fatto migliore la città. Ciò che talvolta ne ha cambiato il destino è stata semmai una certa progettualità operativa.

Al contrario, con i bluff e i giochi di parole si può al massimo costruire “una città degli specchi e dei miraggi“. E per quella più famosa, descritta da Garcia Marquez, era prevista, come si ricorderà, una brutta fine: sarebbe stata “travolta da uno spaventoso vortice di polvere e macerie… ed esiliata dalla memoria degli uomini”.