Il comune di Napoli
De Magistris approfitta della crisi per eliminare il debito
Il debito “odioso” va ripudiato. È il credo di tutti i rivoluzionari, convinti del fatto che sia un diritto non restituire ciò che, in regimi violenti o illiberali, il creditore-sfruttatore pretende. Sia esso uno Stato, un contropotere organizzato o una società privata. In qualche modo lo ha detto anche Joseph Stiglitz, premio Nobel nel 2001. Ma cosa c’è di più odioso che approfittare di una tragedia collettiva, come quella che sta piegando il nostro Paese, per scrollarsi di dosso una responsabilità accertata – in Italia, non nella Russia zarista – sia dalla Corte dei conti sia dalla Corte costituzionale?
Dispiace dirlo in questi termini così crudi, ma è esattamente ciò che sta cercando di fare il sindaco di Napoli. Annusata l’aria, visti i soldi che stanno arrivando per far fronte all’emergenza socio-sanitaria, e capito che non è questo il tempo dei pareggi di bilancio, de Magistris lo ha chiesto senza giri di parole. E senza pudore: mentre si provvede a soccorrere chi ha perso il lavoro e non sa come fare la spesa, vuole anche che sia azzerato il debito storico del Comune di Napoli. Cioè quel debito che le sue amministrazioni hanno in una certa parte ereditato dalle precedenti (800 milioni) e in massima parte prodotto in proprio (2,7 miliardi) senza per questo dotare la città di qualcosa che abbia a che fare con una decente rete di servizi urbani. L’aspetto farsesco di questa storia è che il sindaco rivela così qual è la sua massima aspirazione. Vuole atteggiarsi a bolscevico senza neanche dare l’assalto al Palazzo d’Inverno. Vuole fare la rivoluzione, e goderne gli effetti catartici, senza muovere un solo dito.
Anzi, vorrebbe che altri gliela servissero su un piatto d’argento. Infatti, si rivolge a Conte e, nel prospettargli appunto l’azzeramento del debito storico, lo sollecita “ad avere coraggio, a fare cose dalla portata eccezionale, perché se oggi dovessimo amministrare Napoli con l’idea della burocrazia, del vincolo finanziario e del patto di stabilità, alla fine conteremmo centinaia di migliaia di disoccupati”. De Magistris non ripudia il debito, non sfida apertamente l’ordine costituito. Però chiede. E non gli basta che Pd e il M5s, in parlamento, gli abbiano già concesso la possibilità di non dichiarare il dissesto, pagandone personalmente le conseguenze.
Vuole di più, vuole tutto il potere, neanche fosse Salvini al tempo del Papeete: vuole l’autorizzazione a gestire l’ultima parte della sua sindacatura libero da ogni vincolo, da ogni controllo e da ogni responsabilità passata presente e futura. L’aspetto inquietante della vicenda, invece, riguarda il perché di questo ennesimo scatto rivoluzionario. Mani libere per fare cosa? Il sindaco ha forse in mente un progetto per Napoli? Un’idea strategica? Ha avuto quasi dieci anni di tempo per realizzare qualcosa e i risultati sono quelli che sono: un lungomare pedonalizzato, un turismo che non è riuscito a bilanciare il declino industriale, e poco altro.
In più, ha amministrato accumulando debiti e ha dimostrato (ma questo vale per Napoli come per l’intero Paese) che con il debito non solo non si crea una rete di servizi efficienti, non solo non si alimenta lo sviluppo, ma neanche si appianano le diseguaglianze; quelle diseguaglianze economiche e strutturali che un vero rivoluzionario dovrebbe avvertire come “odiose” e intollerabili. Il debito è ora indispensabile per parare il colpo tremendo assestato dal Coronavirus. Ma il debito per il debito non può essere una strategia anche per il futuro.
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