L'urgenza di una riforma
Legge anti-omofobia, dopo morte Maria Paola Gaglione serve un provvedimento
Di fronte alla morte di Maria Paola, è difficile non farsi prendere dallo sconforto per la violenza che aggrava il nostro pezzo di mondo, terra intrisa di sangue, colpevole o innocente poco importa. Anni fa, quando morì un collega che indagava sul Parco Verde di Caivano, mi raccontarono che qualcuno sparò i fuochi di artificio in segno di vittoria. Un manto corroso di rabbia, mancanza di pace, iniquità pervasiva pesa su interi pezzi di Campania: paiono irredimibili per le leggi umane e forse anche per quelle divine. Ma non saremmo una società e una comunità degne di questo nome se ci lasciassimo trafiggere dallo sconforto e dalla disperazione, senza muovere una speranza di miglioramento, anche se flebile.
Leggendo le varie testate giornalistiche, mi è tornato sotto gli occhi il dissidio dell’incomunicabilità: la comunità LGBTQI, con le sue associazioni e i membri militanti, gridano all’intolleranza omotransfobica e il mondo cattolico, o una sua parte, esige che non si strumentalizzi la vicenda e non vede condotte di discriminazione (per esempio, Maurizio Patriciello su Avvenire). Parto da qui per cogliere tre aspetti. Il primo attiene proprio alla religione. Anni fa, a un incontro con un gesuita su un mio romanzo che aveva come protagonista una transessuale, Daniela Lourdes Falanga – oggi bravissima presidente di Arcigay Napoli – chiese: «Che posto hanno le persone transessuali nella Chiesa cattolica?». Il gesuita rispose: «Nessuno». Fu un pugno in pancia. Poi aggiunse: «Nel cuore di Dio c’è posto per tutti». La verità è che non basta e che la religione cattolica, certamente in Italia, persiste in una posizione di rifiuto della realtà che non aiuta una società, laica ma permeata di cattolicesimo (e dei suoi peggiori sussulti), a una presa di coscienza pacifica delle diversità negli orientamenti sessuali. Il secondo aspetto attiene al diritto. Sono strenuamente convinto della necessità di una legge nazionale che sanzioni l’omofobia.
Ciò che abbiamo visto a Caivano, e ciò che i dati, raccolti sulle pagine di questo giornale, raccontano, è un fatto incontrovertibile: esiste un odio di matrice omofobica e va perseguito. Ma la legge è un ingrediente assolutamente parziale. Serve, a volte molto, altre meno; può essere sintomo di civilizzazione che consacra battaglie di benessere collettivo. Ma è uno strumento parziale e lo sappiamo bene. Infatti – si sente aggiungere da giorni – è necessario il cambiamento culturale. Ed ecco il terzo aspetto. Come avviene il cambiamento culturale? Con il “meticciato”. Mi spiego: la formazione a scuola, gli incontri nelle istituzioni culturali, le sessioni con insegnanti e presidi. Tutto questo va bene, benissimo e va incrementato. Ma abbiamo bisogno che i mondi dei diversi orientamenti sessuali si incontrino realmente, anche e soprattutto tra gli adulti, e con naturalezza. E questo è possibile a due condizioni interiori di non agevole realizzazione, ma sulle quali ciascuno di noi è chiamato a riflettere.
Innanzitutto il mondo LGBTQI deve diventare più inclusivo: il rischio di raccontare una narrazione solo e sempre a se stessi o a chi già ti vuol bene e ti conosce è alto, e invece la narrazione deve essere aperta, rischiare di trovarsi di fronte mondi – anche all’interno dell’omosessualità e della transessualità – che restituiscono immagini e storie differenti da quelli della militanza maggioritaria. Temo che a volte insorga la tentazione di chiudersi o irrigidirsi. In un Paese in cui i gay sommersi soprattutto nei posti di potere istituzionale a ogni livello abbondano, e in cui la Chiesa cattolica pregava durante la pandemia per l’omoeresia (la brillantissima Cei), questo è un effetto di normale autoprotezione, ma bisogna stare vigili e – lo dico da militante a modo mio e da sostenitore inequivoco dell’associazionismo LGBTQI italiano – combatterlo dal di dentro.
In secondo luogo, il mondo delle persone e delle famiglie eterosessuali deve cominciare davvero a conoscere le realtà polivalenti degli orientamenti sessuali suscettibili di darsi nella Natura e nella Storia: un gruppo di magistrati un paio di anni fa ha visitato il carcere di Poggioreale e una collega poneva alla direttrice domande dalle quali si capiva che omosessuale, travestito, transessuale erano considerati una specie di ente unificato. E poi c’è la vergogna, che imperversa per ogni dove, ceto, censo, condizione. Signore e signori “perbene”, sveglia! Se non siamo sinceri, curiosi, empatici, se non diamo la dignità dei nomi esatti alle realtà delle persone, a partire da noi stessi, avremmo solo leggi che incombono su una società incosciente.
Di una cosa ho sempre reso grazie a Dio – tra le altre – per la mia omosessualità: frequentare i locali gay, dove c’era di tutto, la Napoli bene, le campagne più sperdute, la provincia vesuviana e casertana, estetisti sontuosi e praticanti avvocati, travestiti in erba e ragazzi che si sentivano donne e cominciavano a percorrere una strada difficile. Quel “meticciato” mi ha insegnato a essere un po’ meno prevedibile e un po’ più libero.
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