In questi nove anni di presidenza della Regione EmiliaRomagna ho girato il mondo. Perché la prima regione italiana per export pro-capite (avendo straordinarie filiere manifatturiere), che quest’anno ha superato di nuovo 60 milioni di presenze turistiche (tante dall’estero), non può non avere rapporti col mondo. Così come i sei anni di presidenza del Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa (CEMR) mi hanno portato in ogni parte del nostro continente.

Tante destinazioni, ma una terra d’origine che basta poco a riconoscerla. Perché quando mi chiedono dove abito, è sufficiente dire: dove nascono le Ferrari e le Maserati, dove si producono il Parmigiano-Reggiano (e tanto anche dalle mie parti) e l’aceto balsamico. Oppure nominare Luciano Pavarotti. E tutti capiscono immediatamente che sono modenese. In realtà, però, aggiungo sempre un altro “marchio”, che non fa parte delle mitiche Motor Valley o Food Valley: Panini. Sì, la Panini, quella delle figurine, le mitiche “figu”. E anche citando le figurine Panini, praticamente ovunque capiscono di cosa si parli, da dove vieni. Immediatamente. D’altra parte, quanti miliardi di bustine e figurine sono state acquistate, incollate e scambiate in Italia prima, poi anche in Europa e nel mondo, da quel lontano 1961, anno in cui uscì la prima raccolta dei calciatori? La prima figurina uscita dalle “macchine” fu quella di Bruno “Maciste” Bolchi in maglia nerazzurra, sponda Inter (colorata artificialmente, perché le foto erano ancora in bianco e nero), scomparso di recente. Una storia, quella della Panini, meravigliosa e per certi versi epica. Uno di quei tipici miracoli emiliani o romagnoli, sul motto ripetuto all’infinito da Enzo Ferrari (a proposito di miti e di miracoli): “Se lo puoi sognare lo puoi fare”.

La Panini si sviluppò intorno alle figure dei quattro fratelli fondatori che, per talenti e passioni personali, sono riusciti a sviluppare i diversi settori strategici per la produzione e la vendita delle figurine, sempre aiutati e coadiuvati dalle quattro sorelle e dalla madre Olga Cuoghi.
Il 5 gennaio 1945, Umberto e Franco Cosimo Panini, ventotto anni in due, facendosi strada fra la neve, aprono l’edicola in Corso Duomo, a Modena, acquistata a rate per 6mila Lire. Dopo la Liberazione aumenta la produzione editoriale, riflesso di un paese che vuole “voltare pagina”. L’attività si amplia con la distribuzione in città e in provincia della “Gazzetta dello Sport” e con la nascita, nel gennaio 1955, dell’Agenzia Distribuzione Giornali Fratelli Panini gestita da Benito.

Nel 1958 Giuseppe Panini acquista un grosso lotto di album e bustine di fiori e piante. Nonostante l’esperimento sia fallimentare, i fratelli compiono un secondo tentativo: nel 1960, i Panini rilevano un lotto di figurine di calciatori da un editore milanese e ne fanno stampare altre con retro differente. Le imbustano tre alla volta e allegano un palloncino colorato promettendo “un pallone a chi riuscirà a raccogliere cento pezzi sovrastampati sul retro con la scritta “FIGURINA VALIDA”. È un successo senza precedenti! Negli anni in cui l’Italia vive il miracolo economico, il calcio è lo sport che fa la parte del leone. I fratelli Panini ne hanno ormai compreso le potenzialità, e iniziano a progettare il loro primo album. Ottengono le foto aggiornate e, quando mancano, si procurano dei ritratti su cui aggiungere la divisa ufficiale. Tra fine 1961 e inizio 1962, la “Grande Raccolta Figurine Calciatori” viene immessa sul mercato e la vendita di bustine è superiore alle più rosee aspettative.
Nascono ufficialmente le Edizioni Panini che fin dagli esordi cercano di distinguersi per il rigore editoriale e per l’efficienza della produzione e della distribuzione. In breve tempo, l’azienda si trasforma in una multinazionale, espandendo la propria influenza sui mercati internazionali. Il consolidamento avviene nel 1970 con il successo della collezione “Mexico 70”, supportato dall’innovazione tecnologica di macchine come la “Fifimatic”, che hanno notevolmente incrementato la produzione e il confezionamento delle figurine. Da qualche decennio la proprietà è in mani straniere ma il marchio “Panini” non scomparirà mai.

Personalmente ho ricordi nitidi della prima bustina ricevuta quando ero in prima elementare, a fine 1973, davanti alla scuola (perché allora gli album e le figurine venivano regalati dalla stessa Panini davanti alle scuole, a proposito di marketing). E subito “scartata”, cioè aperta, con la meraviglia di avere tra le mani gli idoli di quel tempo, a partire dal promettentissimo ‘Bobby-goal’ Roberto Bettega (ebbene sì, sono juventino, e ho giocato a calcio fino a 38 anni, tra i dilettanti, nel ruolo di punta). Da un paio d’anni tutte le figurine da “incollare” all’album erano autoadesive. Da allora, e ancora oggi, adoro il “profumo” del retro, appena staccata dal dorso, che riporta il numero da applicare sull’album. Immancabilmente, da quel lontano ’73, il regalo più prezioso che ricevo ogni anno e ogni Natale (comprensivo di Santo Stefano e compleanno, il primo gennaio), prima dai miei genitori e poi da moglie e figlie, è l’album dei calciatori Panini assieme ad un sostanzioso numero di bustine.

Di album ne ho più di 250, di calciatori italiani e stranieri, parecchi dei quali acquistati ai tempi del liceo recandomi direttamente in azienda, nella mitica sede di via Emilio Po, a Modena, entrando da una porticina laterale che immetteva in un ufficio dove raccoglievano le richieste di edizioni precedenti: soprattutto le collezioni di campionati esteri, o degli Europei, che nei primi anni ‘80 iniziavano ad essere distribuite in tante altre nazioni. Mettevo da parte quasi tutte le mie paghette settimanali, e quasi per intero, per poter recarmi in quell’ufficio un paio di volte all’anno e acquistare alcune collezioni incellofanate con dentro la raccolta completa delle figurine.

Mica c’erano internet, la rete, i cellulari o il calcio in streaming trasmesso ad ogni ora ogni giorno della settimana! Si sognava ad occhi aperti, grazie alle figurine: sia di campioni sia di carneadi che in tv o sui settimanali vedevi qualche volta, o che ascoltavi nelle radiocronache di Novantesimo minuto o che vedevi sulla Rai la domenica pomeriggio tardi che davano il secondo tempo della partita di cartello o il mercoledì sera nelle coppe europee. Eppure, anche oggi nonostante internet, la rete e partite trasmesse in tv o in mille piattaforme ogni secondo, il fascino delle figurine non è mai tramontato e la celeberrima “rovesciata” di Parola (copyright di un giovanissimo Wainer Vaccari, appena assunto alla Panini, da tempo celebrato pittore e scultore oggi settantenne) continua ad essere stampata su miliardi di bustine vendute ogni anno in ogni parte del globo.

In ogni famiglia italiana c’è chi ha acquistato per sé o per i propri figli e nipoti le figurine dei calciatori, almeno una volta nella vita. Per me sono una passione irrinunciabile. Ormai i miei amici rinunciano a sfidarmi: sostengono infatti che potrei riconoscere i calciatori uno ad uno, di ogni edizione italiana dell’album Panini o di quelle di Europei o Mondiali (ogni quattro anni). In effetti qualcosa di vero c’è, se un paio di anni fa, in occasione della presentazione del libro di Luigi Garlando sulla storia della famiglia Panini a Modena, presente proprio il compianto Maciste Bolchi, mi chiamarono sul palco e a bruciapelo – davanti a oltre cinquecento presenti – mi sottoposero alcune figurine con coperto nome e cognome, dagli anni 70 agli anni 90, tutti calciatori collocati tra le riserve (distinzione allora in voga, oggi non più), dunque meno noti. Li azzeccai senza sbagliarne uno, a partire da un giovanissimo e irriconoscibile Adelmo Paris, ancora coi capelli che perderà definitivamente di lì a poco, nel Bologna campionato 1974-75.

La passione per le figurine ha abbattuto barriere generazionali e sociali e ogni figurina a suo modo poteva diventare “famosa”, indipendentemente dalla carriera di chi raffigurava. Certo Rivera, Mazzola, Zoff, Platini, Zico, Maradona, Batistuta, Baggio, Van Basten o i più recenti CR7 o Lautaro Martinez. Ma anche l’introvabile Pizzaballa o il re degli autogoal Niccolai, così come i carneadi Bulgarani dell’Inter (che comparve solo una volta in un album nel 1979 e che mai debuttò in serie A), oppure Stefano Vavoli, secondo portiere del Verona 1986-87 che non solo non comparve mai più in una collezione, ma nemmeno giocò mai più né in serie A né nel campionato cadetto. Eppure, anche a loro, come potevi non affezionarti? L’importanza di trovarli per completare la collezione era pari a quella del campione di turno più celebrato. Ma lì valevano tutti allo stesso modo. E valgono uguali ancora oggi, in fondo tutti nostri beniamini. Anche questa, potenza delle “figu”!

Stefano Bonaccini

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