Ho letto che nella scuola di Leonardo, a Senigallia, in tutte le classi hanno osservato un minuto di silenzio per la morte del loro compagno di classe. Un minuto di silenzio? Ne serviva altro? Non bastava il silenzio di chi sapeva e non ha fatto nulla? Forse avrebbe avuto più senso un minuto, un’ora o un giorno intero di rumore. Un rumore senza rabbia, però. Un rumore disperato e sconsolato.

Il dramma silenzioso di Leonardo

Quando il padre si è accorto che Leonardo non era in casa e mancava la pistola, ha immediatamente allertato le forze dell’ordine. Online, sui giornali, scatta l’allarme. Si teme un “Columbine”. Si teme un gesto di rabbia, una vendetta. Invece, proprio nel momento in cui leggevamo quelle notizie, Leonardo era in un casolare, da solo, immerso in un silenzio che veniva rotto solo da un colpo di pistola. Prima e dopo, solo silenzio.

Il silenzio uccide

Il silenzio uccide. Quello di chi vedeva e non denunciava. Di chi rideva. Di chi pensava che non era nulla di grave. Di chi si girava dall’altra parte. Il tuo o il mio silenzio può uccidere. Perché spesso non ci crediamo neppure noi, ma siamo importanti. Per qualcuno o qualcuna, tu, io, noi siamo importanti. C’è stato o ci sarà un momento in cui, per una persona davanti a noi, rappresenteremo una speranza. Siamo o saremo capaci di tenere in mano la speranza altrui senza farla cadere? Senza ignorarla? Senza banalizzarla?

“Quante volte per altri è vita quello che per noi è un minuto?”, cantava Francesco Guccini. Quanto accaduto a Leonardo mi scuote l’anima. Mi sento colpevole. Sono colpevole. Di aver taciuto e non detto. Di aver riso di certe battute. Di aver sorriso da lontano. Di aver girato la testa. Di aver ignorato. Di essere stato troppo preso per ascoltare. Di aver finto di farlo mentre pensavo ad altro. Di essere stato sbrigativo. Di non aver capito che ero la speranza per qualcuno. Di essere rimasto in silenzio.

Il minuto di silenzio che non serve a nulla

La vita, i problemi e i guai degli altri ci riguardano. La privacy è una scusa e, nell’era dei social network e dell’iperconnessione, siamo più soli che mai. Si può pure morire da soli, ma di vivere da soli non ne ho alcuna voglia. Quanto mi dispiace, Leonardo, che tu ti sia sentito solo in un mondo di miliardi di persone, mentre camminavi in una strada affollata, in un autobus pieno di persone o su un social network zeppo di selfie e di sorrisi.

Se resteremo uguali a ieri, avremo sprecato la sofferenza di Leonardo. Se gireremo ancora lo sguardo davanti all’ingiustizia, lo lasceremo solo un’altra volta ancora. Il “minuto”, piccolo e insignificante silenzio, passato a capo chino a pensare ai cazzi propri, che ti offriamo oggi, non serve a nulla, come non è servito in passato. Preferisco pensare che qualcuno o qualcuna alzerà lo sguardo, vedrà gli occhi di un’altra persona e, sorridendo, chiederà: “Come stai? Parlami. Ti voglio ascoltare”.