Quello che viene in mente osservando il caos che si è prodotto in questi giorni sui trasporti è la parola “scollamento”, cioè lo staccarsi di pezzi tenuti insieme con la colla, che poi è anche un po’ l’immagine sovrana di questo governo, tenuto insieme appunto con la colla ( i più intransigenti direbbero “con lo sputo”) ma condannato ad interferire con decisione contro ogni possibile manifestazione di buonsenso.
Ricapitoliamo: arriva lo strombazzante annuncio che finalmente i treni ad alta velocità viaggeranno a capienza 100 per cento. Sono i primi di agosto e qualche fortunato che può spostarsi o partire in vacanza ancora in Italia c’è. E ci sono anche quelli che sui treni ci vanno a lavorare. Le compagnie ferroviarie hanno perso circa 700 milioni di euro col Covid, e magari poter riempire i treni in periodo vacanziero è una boccata di ossigeno, quindi si affidano ad un’interpretazione di un non linearissimo comma di un dpcm. Insorge istantaneamente il Comitato Tecnico Scientifico: stiamo mettendo a repentaglio la salute degli italiani (e poi proprio mentre il severissimo New York Times indica l’Italia come modello di eccellenza nella gestione del post-Covid, ma scherziamo!). Il ministro Speranza telefona fulmineo al ministro dei Trasporti De Micheli e protesta: “Non dobbiamo abbassare il livello di attenzione!”.

E così, i treni tornano nel giro di 24 ore a capienza ridotta, con ordinanza del ministro della Salute. Restano a terra circa 8000 passeggeri, ci tocca sorvolare sui disagi e sulla confusione per il rimborso dei biglietti. Le Regioni, a macchia di leopardo, non ci stanno: annunciano di voler fare come pare a loro, e cioè di voler far viaggiare i loro treni a capienza 100 per cento, o quantomeno a capienza come per omologazione. E non solo i treni, ma anche i trasporti pubblici su gomma. Non siamo più in grado di tornare indietro, dicono, i passeggeri non si lasciano a piedi, vanno garantiti i servizi pubblici per tutti. L’ordinanza di Speranza non la recepiscono e annunciano di voler andare avanti per il loro binario. Atteggiamento non sorprendente, questo delle Regioni: dallo scoppio del Covid non sono mai andate molto d’accordo col governo Conte, sempre per il solito conflitto di competenze che ci regalò la sinistra nel 2001, quando modificò il titolo V della Costituzione dando tantissimi poteri alle Regioni (era imminente l’arrivo di Berlusconi al governo, meglio spostarle, un po’ di competenze dello Stato) e determinando lo sfascio decisionale e burocratico di oggi. Ma diciamo anche che Conte, decisionista di gran piglio, non ha mai coccolato i presidenti di Regione, anzi spesso con loro ha usato la clava.

Ma quello che fa sorridere, in questa baraonda, è che mentre ci si accapigliava e si litigava fra ministri per la salute dei viaggiatori dei treni, decollavano e atterravano aerei a pieno carico in tutto il territorio nazionale, con passeggeri stivati come acciughe, conficcati uno accanto all’altro nei leggendari sedili salva-spazio e salva-fatturato delle varie compagnie aeree, evidentemente esentate, loro, dal rischio Covid, forse perché solcando i cieli, anziché le traversine, il rischio si abbassa. Alla faccia del “sistema dei trasporti in assoluto più protetto del mondo”, come lo ha definito il ministro De Micheli. Chi ha avuto occasione di fare un salto in qualche aeroporto italiano di questi tempi ha visto in che modo si svolgono le operazioni di imbarco sui voli, con assembramenti ripetuti e accaldati. Ma in questo caso evidentemente il Comitato Tecnico Scientifico non ha avuto nulla da ridire: in aeroporto e per aria il Covid non si prende. E siccome non crediamo che la salute dei passeggeri sugli aerei stia meno a cuore al nostro governo di quella dei passeggeri sui treni, ci chiediamo come tutto questo sia stato possibile. La risposta dal Ministero della Salute è stata che nel caso degli aerei è vigente un non meglio precisato protocollo internazionale. Che a quanto pare è il prodotto di autorità meno allarmiste del nostro Ministero della Salute e dei vari comitati che lo consigliano.

Alla fine, resta lo scollamento, fra Regioni e Stato e fra treni e aerei. Per gli uni si procede in un modo, per gli altri in un altro. Ieri c’è stato un passo avanti: la De Micheli ha annunciato che oggi ci sarà un incontro col Comitato Tecnico Scientifico per uniformare le regole di distanziamento da applicare a tutti i trasporti. Proposito più che condivisibile, sebbene tardivo. Ha detto, il ministro, che “di decisioni sui trasporti dobbiamo prenderne tante”. Ecco, visti i precedenti, proviamo a prenderne pochissime, ma uguali per tutti. La sensazione, ormai diventata certezza, è che anche sui rischi del Covid siano state le burocrazie e le regole contrapposte ad avere la meglio. Oggi emerge con più chiarezza che mai l’astrusa struttura che sottende al processo decisionale dello Stato, che spezzetta la catena di comando mettendo in contrapposizione una maglia di questa catena con l’altra.

Tocca usare la moral suasion, cercare di andare tutti d’accordo, per far funzionare le cose, non ci sono altri strumenti. Diversamente, siccome i poteri si guardano in cagnesco, tutto si immobilizza o produce effetti purtroppo esilaranti come quelli di questi giorni. Quando ci si impegna con l’Europa ad un Piano Nazionale delle Riforme non si può che partire dalla più urgente: riorganizzare completamente la macchina dello Stato riformando la Costituzione. E’ un lavoro improbo e richiede appunto di mettersi tutti d’accordo, Ma va fatto. Altrimenti continueremo a barcamenarci in una confusione crescente, che non ci meritiamo.