L’attacco a Israele è senza precedenti e molti puntano il dito non solo contro il governo ma anche contro i potenti servizi israeliani. Ne abbiamo parlato con Naftali Granot, già vicedirettore del Mossad e oggi esperto del The Myriam Institute.

Com’è stato possibile un attacco così devastante e su vasta scala?
«Hamas, dal giorno in cui ha preso il controllo di Gaza, ha indirizzato le risorse verso un rafforzamento senza precedenti e ha imparato dai vari scontri con Israele. L’Iran è entrato nel processo con finanziamenti, addestramento, dottrina, know-how sui razzi, contrabbando di armi attraverso Sudan ed Egitto. Il loro successo si basa su due fattori: il vantaggio degli aggressori e il disastro dell’intelligence».

Ci spieghi meglio
«Questo fallimento ha più livelli. Nella raccolta informazioni si è fatto troppo affidamento sull’intelligence dei segnali e cyber. Ciò ha creato una dipendenza eccessiva da questo tipo di informazioni a scapito dell’intelligence umana. Hamas è un’organizzazione altamente compartimentata ed era consapevole dell’infiltrazione dei servizi di Israele. Se non hai uomini nei posti giusti è un problema. In termini di ricerca, c’era poi l’idea errata secondo cui Hamas si preoccupava dei civili e dell’economia. Più è così, si diceva, meno Hamas vorrà trascinarci nello scontro. Non si è capita la situazione».

E sotto il profilo operativo?
«Hamas ha costruito una capacità di attacco sofisticata e il livello di prontezza israeliani era molto basso. Il fallimento è scioccante. Del resto, tutto si basa sull’idea della barriera come soluzione, ma qualsiasi linea di difesa è violabile. Avremmo dovuto impararlo nel 1973: non fidarsi della conoscenza delle intenzioni del nemico ma della conoscenza delle sue capacità».

Questo chiama in causa anche la politica?
«Il governo ha fallito prima e durante l’attacco. L’idea di costruire un’alternativa per indebolire l’Autorità Palestinese, dividere i palestinesi, lasciare che i soldi arrivassero ad Hamas, accettarne il rafforzamento e non prendere decisioni sul nostro futuro con i palestinesi ha creato un fallimento politico pesante».

Hezbollah che ruolo ha?
«Hamas e Hezbollah non sono amici, ma partner contro Israele. In Siria i sunniti di Hamas erano contro gli sciiti (cioè Assad, Iran ed Hezbollah). Ora c’è convergenza, ma Hezbollah non permetterà ad Hamas di trascinarlo in guerra se questa non serve ai suoi interessi. Hezbollah ha interessi libanesi che contrastano con l’adesione a questo conflitto. Le comunità sunnite e cristiane temono la devastazione così come gli sciiti a sud. Teheran, inoltre, vuole preservare l’arsenale di Hezbollah in caso di attacco all’Iran. Ciò che accade ora in Libano è il frutto di sigle palestinesi cui Hezbollah permette di lanciare razzi per allentare la pressione e mostrare solidarietà. Ora nel nord vedremo incidenti con i palestinesi, Hezbollah risponderà agli attacchi di Israele. Ma lo scenario di una guerra su vasta scala nel Nord è improbabile: nessuna delle due parti lo vuole».

Israele ora affronta anche il dramma delle persone in ostaggio
«I decisori si trovano di fronte a un dilemma terribile. È chiaro che Hamas ha distribuito gli ostaggi in vari posti, li ha nascosti nei tunnel e minaccia di giustiziarli. È un gran numero di ostaggi e la pressione su Israele si farà sentire. Bisogna soppesare un accordo di scambio ma con l’obbligo di rovesciare Hamas con un’offensiva di terra uccidendo i suoi leader. Questo è l’obbligo principale, poiché nessun Paese amante della vita accetterebbe la realtà attuale. Gli Stati Uniti hanno fatto il giro del mondo dopo l’11 settembre. Ed è obbligo del governo israeliano approvare un’offensiva a Gaza e preparare la popolazione all’alto costo che ciò comporterà per le forze israeliane. Questa è una palude e potremmo affondarci per un po’. Ho vissuto e combattuto a Gaza negli Anni ’70 e posso dire che è un terreno molto complesso. Ma non abbiamo alternative. Più Israele ritarda, tanto maggiore sarà la perdita di slancio».