Svolta sulla morte di Liliana Resinovich. Secondo una perizia della Procura la 63enne si sarebbe tolta la vita. Ma si apre un nuovo giallo: la donna sarebbe morta due o massimo tre giorni prima il suo ritrovamento. Liliana scomparve da casa sua a Trieste, dove viveva con il marito Sebastiano Visintin, il 14 dicembre e fu ritrovata il 5 gennaio successivo nel parco dell’ex ospedale psichiatrico di Trieste a pochi passi da casa. Dove ha trascorso quei giorni e cosa le è successo? Cosa l’avrebbe spinta a pensare a un gesto estremo?

Il ritrovamento del corpo di Liliana avvenne in una macchia boschiva in condizioni sospette. Aveva due sacchetti di plastica trasparenti uno dentro l’altro intorno alla testa, non troppo stretti alla gola. Tutto il corpo era racchiuso in grandi sacchi della spazzatura, uno infilato dall’alto e uno dal basso. Era rannicchiata con le braccia incrociate sul petto. Secondo i periti è morta “due, massimo tre giorni prima” del suo ritrovamento avvenuto il 5 gennaio scorso nel parco dell’ex ospedale psichiatrico di Trieste, un decesso per asfissia, una morte probabilmente volontaria.

Sono queste le conclusioni rivelate in esclusiva da Adnkronos a cui sarebbero arrivati i consulenti della procura. Per settimane la Procura ha oscillato tra le ipotesi di suicidio e omicidio. Le nuove rivelazioni porterebbero alla certezza che Liliana abbia deciso di togliersi la vita. Il caso sembrerebbe chiuso, dopo la bozza della relazione firmata dal professore di Medicina legale Fulvio Costantinides e dal medico radiologo Fabio Cavalli e inviata ai consulenti di parte per le loro osservazioni. Nella bozza della relazione di circa 50 pagine gli esperti, incaricati dal sostituto procuratore Maddalena Chergia, mettono nero su bianco i risultati dell’autopsia e degli esami tossicologici (viene esclusa l’assunzione di droga o farmaci) e le deduzioni che lasciano propendere per un gesto che non abbia coinvolto altre persone.

Come ricostruito dall’AdnKronos, i sacchi integri che contenevano il corpo della vittima sono “poco compatibili” con un caso di aggressione e con il trasporto del corpo “in ambiente impervio”. Poi c’è l’assenza di “qualsivoglia segno ragionevolmente riportabile a violenza per mano altrui”, la mancanza “di lesioni attribuibili a difesa” e di altre ferite che potrebbero far pensare a un’aggressione. Il fatto che i sacchetti non sono stati trovati stretti al collo “non esclude”, a parere dei consulenti, “una morte per una possibile asfissia di questo tipo: se è vero infatti che basta l’inspirio per far aderire il sacchetto agli orifizi del volto cagionando deficit di ossigeno, tale aderenza può essere anche intermittente o addirittura non esserci essendo sufficiente per il soffocamento l’accumulo progressivo di anidride carbonica espirata ed il rapido consumo dell’ossigeno nel poco volume aereo offerto dal sacchetto”.

L’ AdnKronos continua citando il parere dei periti: “in assenza di altri segni di asfissia meccanica violenta (strozzamento, strangolamento), non emergendo, inoltre, chiare evidenze oggettive omicidiarie, come pure ipotesi più rare e remote come l’abuso di solventi, le manovre legate ad erotismo con asfissia posta in essere a scopo sessuale”. In sostanza, “non emerge” a parere dei consulenti tecnici, “alcunché che concretamente supporti l’intervento di mano altrui nel determinismo del decesso” di Liliana, la quale si era allontanata da casa senza cellulari e fede nuziale. Le conclusioni, a sette mesi dal giallo della morte sembrano risolutive: il decesso di Liliana può farsi risalire “ragionevolmente a circa 2-3 giorni prima” del ritrovamento del corpo che “non presenta evidenti lesioni traumatiche possibili causa o concausa di morte, con assenza di solchi o emorragie al collo, con assenza di lesioni da difesa, con vesti del tutto integre e normoindossate, senza chiara evidenza di azione di terzi”. L’autopsia suggerisce “una morte asfittica tipo spazio confinato (‘plastic bag suffocation’), senza importanti legature o emorragie presenti al collo” scrivono i consulenti. Tutto questo potrebbe portare la procura di Trieste ad archiviare il caso.

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Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.