L'incontro con la Presidente della Commissione Ue
L’inutile summit di Meloni e von der Leyen: colazione veloce e nulla di fatto
Un comunicato di palazzo Chigi che poteva essere scritto il giorno prima. Un tweet di Raffaele Fitto, il ministro agli Affari europei che sovrintende il Pnrr. Un tweet di Ursula von der Leyen che mette in fila i temi trattati, cioè Ucraina, migranti, Pnrr, della serie “il confronto continua in attesa del vertice europeo straordinario del 9 e 10 febbraio”. Un’oretta e poco più, alla fine neppure una dichiarazione congiunta Meloni-Von der Leyen che quando c’è un bilaterale è il minimo sindacale. Nulla di nulla.
E allora, con buona pace del dossier migranti che ogni governo che si insedia a palazzo Chigi vanta di “aver finalmente portato al centro del confronto europeo, cosa che prima non era (falso, ovviamente, ndr)”; con altrettanta buona pace del dossier Pnrr sul quale il governo Meloni può “fare” quello che vuole in termini di governance ma si scordi di cambiare tempi e contenuti; ribadito una volta di più il sostegno all’Ucraina e l’asse Ue-Nato; alla fine quello che conta veramente di questa colazione amichevole ma ufficiale tra la premier Meloni e la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen è che la marcia di avvicinamento tra il partito Conservatore, di cui Meloni è presidente, e il Partito Popolare di cui von der Leyen è un alto rappresentante è in corso. Il Pse, e il Pd italiano che ne è il maggior azionista a Bruxelles, si faccia in fretta qualche domanda e cerchi anche le risposte.
Il comunicato di Palazzo Chigi è scarno, un generico-rigirato che dice tutto e nulla. «L’incontro di oggi – si legge – è stata un’ottima occasione per uno scambio di vedute in preparazione del Consiglio Ue del 9-10 febbraio dedicato all’economia e alle migrazioni». Sul Pnrr il governo italiano ha “riaffermato il proprio impegno”. Poi la “condanna” dei fatti accaduti in Brasile e la “soddisfazione per la firma prevista domani Ue-Nato”. In un successivo tweet, la presidente della Commissione ha indicato i temi oggetto del colloquio: «Il mantenimento del sostegno all’Ucraina, la garanzia di energia sicura ed economica, la promozione della competitività dell’industria europea, il progresso sul patto sulle migrazioni. Abbiamo parlato anche dell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza in Italia». Da parte della Presidente Ue è stata espressa “grande soddisfazione per i 55 obiettivi del Pnrr raggiunti a fine anno dal governo italiano” e la “piena disponibilità a collaborare in fase di implementazione del Piano, con un ascolto attento anche sul tema del Repower Eu(il fondo Ue per l’energia, ndr)”.
Nessuna di queste affermazioni sposta di un centimetro le urgenze del governo italiano. E pur essendo la diplomazia l’arte dei piccoli passi e delle mediazioni, possiamo dire che in tema di migranti restiamo con il cerino in mano. O meglio, ci restano i poveracci salvati dal mare e le navi delle ong costrette, dal nuovo decreto del ministro Piantedosi, a girare in lungo e in largo il Mediterraneo fino al centro e al nord Italia in cerca di un porto sicuro assegnato. L’Europa resta distante dal problema – lo è colpevolmente da anni – e il braccio di ferro ingaggiato con Parigi quando il governo Meloni si era appena insediato ha riportato indietro di anni quella che al momento sembra essere l’unica strada percorribile: la condivisione e la solidarietà del maggior numero di paesi europei. Il braccio di ferro di fine ottobre, quando una nave fu costretta ad andare a Marsiglia, ci ha lasciati più soli e isolati. Prigionieri di noi stessi e della nostra geografia che ci fa essere il paese più bello ma anche il pontile naturale per chi arriva dall’Africa e scappa da carestie, guerre, siccità.
Il pranzo di ieri era stato presentato dalla maggioranza come l’occasione per una nuova intesa possibile sui migranti. «Avete visto – ha rivendicato la maggioranza – finalmente si parla del problema migranti e si fa secondo il nostro schema perché è evidente che il sistema europeo di gestione dei flussi migratori non funziona». Lo schema italiano consiste nel mettere nero su bianco che i flussi sono un problema europeo e non del paese di primo sbarco, quasi sempre Italia e Grecia (va quindi rivisto l’ormai obsoleto accordo di Dublino che risale al 2013). Che l’Europa intera deve farsi carico dei rimpatri dei non aventi diritto che restano clandestini nelle nostre città. Sempre l’Europa deve aiutare a casa loro i migranti con investimenti economici. Fatto tutto questo, per contrastare i trafficanti di esseri umani, Bruxelles deve “alzare” il suo muro navale.
In linea teorica sarebbe tutto giusto, a fianco di decreti flussi che portano in Europa la mano d’opera necessaria. Ma la teoria si scontra proprio con il cinismo di quei paesi sovranisti e nazionalisti con i quali i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni si sentono così in sintonia. Quindi il pranzo di ieri, (durante il quale la Svezia, che ha la presidenza del semestre, ha precisato che l’immigrazione “non è una priorità dei prossimi mesi” ma un accordo è “alla portata nel 2024”) conferma una volta di più che la strada verso una soluzione è lunga. E che l’isolamento in cui ci siamo ficcati alzando bandierine ideologiche resta un problema nostro e dei poveracci raccolti in mare. Nessuno ci aiuterà. Sul Pnrr il governo Meloni procederà a breve – entro la fine del mese – a un riassetto della governance. È un capitolo importante dello spoils system. Si tratta di incarichi e potere. Ed è l’unica cosa che veramente conta. Anche per consolidare il consenso. Su chi fa cosa è chiaro che Bruxelles non può mettere bocca. Quello che conta sono gli obiettivi e il cronoprogramma. Su questi non sembrano esserci margini di trattativa. Diverso è il problema dei costi dei materiali. Tavolo invece aperto ad “implementazioni e correttivi”.
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