Con i sindacati proverà a parlare di nuovo mercoledì 7 per vedere se Cgil e Uil faranno marcia indietro e rinunceranno a uno sciopero generale che sembra già blindato per il 13 dicembre. Con il personale sanitario dovrebbe parlare il ministro Schillaci ma non se ne vede traccia, difficile possa bastare l’intervista di ieri con cui promette di “aumentare” gli stipendi a coloro che lavorano in corsia. Così anche per loro l’appuntamento è per il 15 dicembre in piazza a Roma. E ci sta che si aggiungano anche i governatori visto che ieri il governatore della Lombardia Attilio Fontana ha promesso che “non saranno tollerati altre riduzioni dei fondi del Servizio sanitario nazionale”. Certo che 2 miliardi, quanti ne sono previsti nella legge di bilancio, non sono sufficienti per rimettere in piedi la sanità pubblica.

Il 17 poi è la volta del Pd. Il segretario uscente Enrico Letta ha chiamato la piazza un minuto dopo che era stata approvata la finanziaria dal Consiglio dei ministri il 22 novembre. Il passare dei giorni e la varie modifiche intervenute, dai contanti a Opzione donna, non l’hanno certo migliorata. La prima legge di bilancio di un governo di destra-centro guidato da una donna resta “improvvisata, iniqua e inadeguata” (cit Letta). E allora il Nazareno comincerà questo sabato con banchetti in tutte le province per spiegare “le proposte del Pd”. E poi appuntamento il 17. Da soli, al momento. Giuseppe Conte e i 5 Stelle avranno la loro piazza, quella in difesa del reddito di cittadinanza. Qui siamo davanti a un vero e proprio grand tour nelle regioni del Sud, piazza dopo piazza. Si comincia anche in questo caso sabato 3, da Scampia. Palermo ha fatto un prepartita sabato scorso.

13-15-17: sono le date segnate in rosso nell’agenda di palazzo Chigi. In mezzo alle altre che riguardano l’approvazione della legge di bilancio tassativa entro il 31 dicembre altrimenti scatta l’esercizio provvisorio, stigma per tutti figuriamoci per il primo governo di destra al governo guidato da una donna. Entro la stessa data vanno completate le 22 missioni del secondo semestre 2022 del Pnrr. Ballano 21 miliardi e il ministro delegato Fitto alza distinguo e mostra scetticismo sui tempi, sulle risorse e sulla realizzabilità effettiva del piano. C’è poi il decreto Ucraina da convertire anche questo entro il 31 dicembre. Oggi sarà varato dal governo uno specifico decreto dopo lo stop al blitz del governo – deciso non si sa bene come e quando – che ha cercato di infilare la proroga di un anno dell’invio delle armi in un altro decreto che parla, per lo più, di Sanità in Calabria. Una scorciatoia poco onorevole per chi, come Fratelli d’Italia, ha sempre rivendicato la centralità del Parlamento accusando i vari governi di umiliarla giorno dopo giorno.

L’autunno è stato tutto sommato dolce. Dicembre sarà invece durissimo per Giorgia Meloni. Giorni e notti dove la battaglia sarà fuori ma anche dentro il Palazzo. Anche ieri palazzo Chigi ha fatto filtrare che “fonti di governo promettono di considerare come attuabili alcune proposte del Terzo Polo in relazione alla legge di bilancio”. Al di là del merito – ad esempio il Rei al posto del Reddito di cittadinanza, Industria 4.0 ed attuazione del Family act – è il metodo che conta: la premier minaccia un possibile appoggio esterno se e quando qualcuno della sua maggioranza dovesse venir meno o cambiare idea strada facendo. Renzi e Calenda non si prestano al giochino (“tra un anno circa faremo cadere anche il governo Meloni” ha detto il leader di Italia viva) che però resta utile quel tanto che basta per fare arrivare i necessari messaggi a Salvini e Berlusconi e metterli in guardia da emendamenti-trappola o altre ipotesi da guastatori. I due leader sono in trappola, non possono che restare dove sono, a prendere ordini dalla leader di Fratelli d’Italia e dire anche grazie. E questa tensione, costante e crescente, è peggio di uno sciopero al giorno. Che poi ci sono anche le gaffe non volute né cercate.

Il duello tra il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin (Fi) durissimo contro gli abusi edilizi e le prassi di certi amministratori e “l’abusivismo leggero” proposto da un altro ministro, Nello Musumeci (Fdi), dice molto su come vanno le cose in maggioranza. In tutte le maggioranze, a dir la verità, dal 2013 a oggi. «Faremo la nostra battaglia in Parlamento per cambiarla e poi nel paese, in raccordo con le parti sociali e i rappresentanti dei lavoratori che si aspettavano altro» ha detto Letta annunciando le mobilitazioni di sabato con i banchetti sui territori dove saranno spiegate le controproposte “in particolare sui temi assenti nella legge di Bilancio a cominciare dal salario minimo”. Ieri, nel dibattito alla Camera sulle mozioni, il presidente della Commissione Lavoro Walter Rizzetto (Fdi) ha avuto gioco facile nell’accusare Pd e 5 Stelle, in un modo o nell’altro al governo negli ultimi cinque anni, di non aver fatto nulla su questo dossier pur avendo il potere di farlo.

Il Pd sta preparando un corposo pacchetto di emendamenti alla legge di bilancio che venerdì 2 dicembre inizia l’iter parlamentare con le audizioni del ministro Giorgetti e poi di Banca d’Italia, Ufficio parlamentare del bilancio, sindacati, Corte dei Conti eccetera. Il 17 a Roma, a livello nazionale, il Pd promette di mettere in campo «il complesso delle nostre controproposte, alzeremo le bandiere sulle grandi questioni sociali: inflazione, caro vita, protezione di famiglie e imprese, salario minimo e cuneo fiscale». Resta ancora da capire cosa farà il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte. Al momento rifiuta di mettersi in scia con i dem e sta preparando le sue piazze: ogni sabato ci saranno sit in e cortei «per contrastare questa manovra, perché questa legge finanziaria, al contrario delle dichiarazioni propagandistiche della Meloni, precipiterà il Paese nella recessione e aumenterà le ingiustizie sociali». Prima tappa sabato, a Scampia. Certo è che se si dovessero saldare le due opposizioni, il governo Meloni si ritroverebbe mezzo Parlamento in piazza.

Pessima fama per Bruxelles e i tecnici della Commissione pronti a esaminare numero dopo numero i 170 articoli della manovra e a valutarne l’impatto finale. Anche perché, passi per le opposizioni, ma quello che la premier teme con orrore, è l’ostruzionismo della sua maggioranza. Silvio Berlusconi ieri è intervenuto da remoto all’assemblea dei parlamentari di Forza Italia per fare il punto sulla legge di bilancio dove ha lamentato di non essere stato ascoltato come avrebbe voluto. Ha promesso «un contributo concreto e qualificato per affrontare il caro energia ma anche disegnare l’Italia del futuro». Tradotto: sono in arrivo emendamenti per una ulteriore detassazione dei nuovi assunti, per offrire lavori ai giovani che devono uscire dal reddito di cittadinanza e per aumentare le pensioni più basse ridotte a nulla per colpa dell’inflazione. Arrivare a 600 euro è il minimo, “uno sforzo che va fatto”.

Con quali soldi però? Giorgetti ha già stretto al massimo la cintura. E i conti, anche così, tornano a fatica. La Lega ha già fatto capire che vorrà “definire meglio i suoi interventi”. Perché così siamo percepiti come “troppo simili a Fratelli d’Italia”. E i sondaggi lo dimostrano.
Dicembre amaro. Fuori e dentro il Parlamento per il neonato governo Meloni. “Ma negli anni passati qui fuori c’era una manifestazione a settimana” minimizza un deputato di Fratelli d’Italia che pure mette in conto scioperi e manifestazioni. E anche altre difficoltà. Sul Piano nazionale di ripresa e resilienza, ad esempio. Il governo insiste per rivedere prezzi e tempi. Solo il ministero dell’Ambiente conta 5 miliardi in più causa inflazione. “O tagliamo le opere o non ci stiamo dentro”.

La task force di Bruxelles è qui a Roma per vedere a che punto siamo. Il ministro Fitto promette la reale fotografia della situazione entro la prossima settimana. Ma se anche dovesse arrivare il via libera per queste “correzioni”, come la mettiamo con la riforma della giustizia e la legge sulla concorrenza ferme al palo da luglio, quando cadde il governo Draghi? Devono essere approvate entro il 31 dicembre. Ballano 21 miliardi. Sarà un mese durissimo.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.