Il recente Financial Stability Review pubblicato dalla Bce offre spunti rilevanti sulle attuali sfide economiche e finanziarie in Europa, evidenziando rischi specifici con una schiettezza insolita rispetto al passato. Uno dei timori principali riguarda la possibilità di una nuova crisi del debito sovrano, con la Francia sotto i riflettori per l’incertezza politica, una debolezza strutturale nei fondamentali fiscali e una crescita potenziale stagnante. I livelli di debito sovrano nei paesi europei rimangono elevati, e la necessità di rifinanziarli a tassi di interesse più alti crea ulteriori pressioni. Nonostante alcuni miglioramenti nei rapporti di indebitamento negli ultimi anni, i parametri fiscali non si sono ancora del tutto ripresi dalla pandemia.

L’esempio Ford

La Banca centrale europea sottolinea che deficit primari elevati complicano la possibilità di investire su sfide strutturali come il cambiamento climatico, la Difesa e la bassa produttività. Sebbene questa logica sia condivisibile, il paradosso rimane evidente: per stimolare la crescita strutturale, sono necessari investimenti pubblici significativi, che però potrebbero scontrarsi con il consenso elettorale, specie se comportano riduzioni della spesa sociale. Anche il settore privato riflette queste sfide: Ford, ad esempio, ha annunciato il taglio di 4.000 posti di lavoro in Europa a causa della debole domanda di veicoli elettrici e della concorrenza cinese. Parallelamente, l’atteggiamento deciso della Bce rappresenta un monito per chi spera in drastici tagli ai tassi d’interesse. Sebbene una crisi potrebbe forzare la Bce a tornare a politiche ultra-espansive, i rischi legati al rifinanziamento e ai costi crescenti degli interessi rendono improbabile un ritorno ai tassi estremamente bassi del passato.

Il taglio dei tassi

L’evoluzione dei salari rafforza questa narrativa. Nel terzo trimestre del 2023, i salari negoziati nell’Eurozona sono aumentati del 5,4% su base annua. Un’accelerazione superiore alle aspettative, trainata principalmente dalla Germania, dove gli aumenti hanno raggiunto l’8,8%. Tuttavia ci si aspetta un rallentamento nei prossimi trimestri, come suggeriscono recenti accordi sindacali. Anche in altri paesi si osservano tendenze simili: i salari nei Paesi Bassi sono cresciuti del 4,3%, mentre in Italia e Spagna si attestano poco sopra il 3%. La Francia, invece, mostra un calo graduale, con i salari al 2,7%. Questi dati non dovrebbero impedire alla Banca centrale europea di procedere con un taglio dei tassi di 25 punti base a dicembre, ma confermano la necessità di prudenza nel gestire rischi persistenti legati alla crescita e all’inflazione.

La politica monetaria ibrida

Molti di questi problemi derivano da dinamiche interne all’Europa, ma l’amministrazione statunitense – con Trump al centro della scena – potrebbe complicare ulteriormente il quadro. Il nuovo presidente degli Stati Uniti – impegnato nella selezione del nuovo segretario al Tesoro – sta affrontando un momento cruciale, considerato l’impatto delle sue politiche fiscali sul deficit americano. La debole domanda per i titoli di Stato a 20 anni, nonostante i rendimenti in crescita, segnala preoccupazioni crescenti da parte degli investitori sul potenziale impatto del programma economico di Trump sulla stabilità finanziaria. La scelta del segretario al Tesoro sarà dunque determinante per bilanciare ambiziosi cambiamenti economici con la necessità di mantenere la fiducia nei mercati finanziari globali.

Che fare, dunque? La soluzione passa per l’adozione di una politica monetaria ibrida, contraddistinta da tassi di interesse alti nella parte breve della curva ma controllati nella parte lunga della curva. In questa maniera si riuscirebbe a ottenere il duplice scopo di controllare l’inflazione, creando però al tempo stesso condizioni più favorevoli per gli investimenti strategici (Difesa e infrastrutture energetiche in primis) di cui l’Occidente ha un disperato bisogno.