Macro & Commodities
Christine Lagarde e il discorso che ha alzato il prezzo dell’oro a 2600 dollari l’oncia
Venerdì scorso il prezzo dell’oro ha raggiunto nuovi massimi storici, superando i 2600 dollari l’oncia, in scia alla decisione della Fed di tagliare drasticamente i tassi nonostante la crescita economica sia forte, l’inflazione sopra l’obiettivo e il deficit federale a livelli record. L’accelerazione del metallo prezioso contrasta con il mercato obbligazionario, dove la curva dei Treasury ha subìto un brusco rialzo dei rendimenti. Solitamente, l’oro, che non offre rendimento, tende a sottoperformare in contesti di tassi in aumento. Una possibile spiegazione dei recenti rialzi potrebbe essere stato l’intervento del presidente della Bce Christine Lagarde, che nel tratteggiare un parallelo tra gli anni ‘20 del secolo scorso e quelli attuali, ha sostanzialmente indicato come l’inflazione potrebbe essere preferibile alla deflazione.
La strategia
Un parallelismo evidente tra gli anni ‘20 del XX secolo e gli attuali è rappresentato dalla frammentazione del commercio globale, accompagnata da progressi tecnologici. Tuttavia, un’importante differenza sta nel fatto che negli anni ‘20 i cambiamenti strutturali modificarono profondamente le strategie di politica monetaria, mentre oggi i paradigmi delle politiche restano validi, con un focus sulla stabilità dei prezzi e una maggiore flessibilità. Nei primi anni del XX secolo, il Gold Standard dominava la politica monetaria, limitando la capacità delle banche centrali di affrontare crisi economiche interne. La ripresa del Gold Standard negli anni ‘20 esacerbò le pressioni deflazionistiche e contribuì all’instabilità economica. La lezione appresa fu che le banche centrali dovevano concentrarsi sulla stabilità interna, abbandonando gradualmente l’oro come riferimento rigido.
Le sfide delle banche
Oggi, invece, le banche centrali affrontano sfide simili, come l’inflazione e la frammentazione economica, ma con strumenti più flessibili e una maggiore consapevolezza del ruolo della stabilità dei prezzi come obiettivo centrale. La digitalizzazione, soprattutto grazie a tecnologie come l’intelligenza artificiale e la fintech, ha il potenziale di rafforzare la trasmissione delle politiche monetarie, ma solleva interrogativi su come gestire efficacemente il potere di mercato delle grandi aziende tecnologiche, che potrebbero essere meno sensibili ai cambiamenti dei tassi d’interesse. In un contesto in cui i banchieri centrali stanno segnalando come l’erosione di salari e risparmi potrebbe essere il male minore appare logico agli occhi degli investitori sull’oro e sulle materie prime come sorta di assicurazione nei confronti dell’inflazione.
L’andamento della scorsa settimana del prezzo del petrolio ha offerto ulteriori indizi in tal senso. Dopo un forte calo nelle settimane precedenti per le preoccupazioni sulla domanda di Cina e Usa, e la possibilità di un aumento della produzione di Opec+, i prezzi del greggio sono risaliti del 4% sopra i $74/barile. Bene ha fatto anche il rame tornato sopra i $9500 alla tonnellata. Insomma, il mercato delle commodities potrebbe aver iniziato a scontare uno scenario di inflazione secolare.
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