Il tempo della rivolta
L’occupazione delle piazze ha sostituito quella delle fabbriche, la protesta secondo Donatella Di Cesare
«La rivolta è per lo più analizzata nella sua carica politica mentre viene trascurata la tensione esistenziale che la permea e la sorregge. Non si comprenderebbe quella tensione se non si muovesse dal labile nesso tra politica e esistenza che si è consumato ormai da tempo. Sotto tale aspetto la rivolta è innanzitutto una risposta all’astrazione della politica ridotta a calcolo consensuale, procedura burocratica, adattamento pragmatico al corso del mondo». La filosofa Donatella Di Cesare con Il tempo della rivolta, 126 pagine, 12 euro, editore Bollati Boringhieri, vede nell’occupazione delle piazze che ha sostituito quella di un tempo delle fabbriche e delle università una risposta alla crisi della politica.
Esplode il disagio che le istituzioni fingono di ignorare. E non è solo rivendicazione ma un modo esasperato di mostrare al potere gli effetti che produce sul corpo e sulla psiche. Il simbolo della rivolta del terzo millennio sono le parole “I can’t breathe”, le ultime parole di George Floyd a Minneapolis mentre il poliziotto continuava a soffocarlo. Il respiro è diventato un privilegio per pochi e quelle parole sono un atto di accusa contro la prevaricazione e denuncia di un sistema di asfissia che toglie il fiato.
La rivolta c’è perché l’abuso poliziesco non appare un semplice incidente ma la punta riaffiorante di un sistema di violenza che fa leva sulla discriminazione. Da una parte i neri dall’altra i bianchi, da una parte i poveri dall’altra i ricchi. Ma la polizia non è illegale. È solo autorizzata a svolgere funzioni extralegali non si limita a amministrare il diritto ma ne stabilisce ogni volta i confini. Insomma c’è uno stato di polizia nello Stato di diritto. Come vive la rivolta chi scende in piazza? Sicuramente ha l’inebriante sensazione di diventare protagonista della propria esistenza e di essere finalmente in presenza della storia. La rivolta è già vissuta. Come l’oltre.
Le rivolte in giro per il mondo sono sicuramente diverse tra loro ma non ci si può rifiutare di considerarle articolazione di un movimento globale. Se no si finisce per avallare a priori la difesa dello stato di cose presenti. I protagonisti sono molti, dai nuovi disobbedienti a coloro che praticano l’anonimato nel web dai segnalatori di illeciti a quanti si dichiarano invisibili. Certo non c’è l’unitarietà riscontrata in passato con gli insorti del 1948 che miravano alla libertà e alla repubblica, i rivoluzionari del 1917 guidati dall’ideale del comunismo, i protagonisti degli anni 60 e 70 per i quali un altro mondo sarebbe stato possibile a breve.
Costellazione sembra la parola giusta per definire i nessi tra le rivolte. Walter Banjamin fece ricorso proprio all’immagine della costellazione per far implodere le architettoniche monumentali dei vincitori. Il modo di recuperare ciò che è stato rimosso, screditato, irriso. Lo sforzo deve essere quello di cercare se non il filo rosso la corda sottesa. La rivolta ora viene relegata ai margini e se supera la censura viene spettacolarizzata ed esibita nella sua trasgressiva oscurità. Arriva sui grandi media solo quando lo impongono gravità urgenza e dimensioni. In tv per esempio dalle immagini affiora quasi esclusivamente il disordine con le colonne di fumo le vetrine infrante auto e cassonetti in fiamme.
È la rivolta viene “trattata” in questo modo perché eccede la logica della politica istituzionale perché giunge a mettere in questione lo Stato, che sia democratico o dispotico laico o religioso ne porta alla luce la violenza ne destituisce là sovranità. E non c’è rivolta che possa essere ridotta a una singola causa, dall’uccisione di un dimostrante a uno stupro impunito al rincaro della benzina. Tutte le rivolte scaturiscono dalla combinazione e dall’intreccio di motivi diversi non solo economici ma anche politici e esistenziali.
Con la rivolta, conclude l’autrice, la causa di sofferenza del singolo assume un’altra visibilità quella dell’ingiustizia. La rivolta estranea mette a distanza l’economia abituale e getta una luce inedita. Le cose sono le stesse ma nulla appare come prima. Si apre uno squarcio nella foschia del presente. Si sconfina nella festa. Perché il potere non ha feste, ha cerimonie, anniversari, celebrazioni, commemorazioni riti più o meno spettacolari in cui cerca di legittimarsi, non può comandare la rabbia dell’emozione ribelle la gioia dell’esplosione sovversiva. La rivolta invita a un altro modo di abitare il tempo, è passaggio anarchico a uno spazio di tempo dove il dopodomani non è evocato ma già vissuto nell’affrancamento dal luogo dal l’identità dall’appartenenza nella violazione delle frontiere nazionali e dei conflitti statuali.
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